Il Vangelo diventa arma di difesa. Ma non è più Vangelo

È avvenuto a Porto d’Ascoli. Il fatto è citato anche nel nostro articolo sul XXV rapporto Caritas. Un “branco” di giovannissimi del posto hanno aggredito degli immigranti bengalesi che vendevano rose. I giovani del gruppo hanno iniziato a spintonare gli immigrati. Poi sono partiti dei calci, fino ad arrivare all’aggressione. “Li hanno picchiati perché non conoscevano il Vangelo”, raccontano i testimoni alla polizia. Infatti, secondo quanto riportato da un quotidiano locale online, prima dell’aggressione alcuni ragazzi hanno chiesto ai due immigrati, originari del Bangladesh, se conoscessero il Vangelo. Alla risposta negativa, si sarebbe passati ai fatti: spintoni e calci ai due ragazzi.

Il fattaccio, più fatterello che fattaccio, è esemplare. I ragazzi di Porto d’Ascoli stanno imitando quello che i fondamentalisti islamici di tutte le latitudini, fino a quelle di Dacca, fanno con i cristiani. I fondamentalisti chiedono di dire versetti del Corano. Se le vittime designate non sanno il Corano, vengono ammazzate. A Porto d’Ascoli non è stato ammazzato nessuno: solo qualche calcio. Ma l’uso del  testo sacro è stato lo stesso. Il Vangelo non è stato annunciato per includere chi vuole ascoltarlo, ma per escludere, non è stato usato per portare misericordia ma per comminare condanne, il Vangelo che dice di porgere l’altra guancia a chi ci percuote, è diventato pretesto per menare calci. Si potrebbe continuare indefinitamente a elencare queste anomalie: il Vangelo si è tramutato nel suo contrario.

La banda di Porto d’Ascoli è un caso estremo. Ma significativo di atteggiamenti, di vedute politiche e culturali che non si incontrano soltanto a Porto d’Ascoli e non sono soltanto di qualche giovanotto in vena di avventure.

In periodi di grandi paure, il Vangelo diventa un’arma di difesa. A qualcuno serve. Il guaio è che, come in altre circostanze, il Vangelo diventato arma di difesa non è più Vangelo.