Matteo, da Suisio alla Sierra Leone: “Passata l’emergenza di Ebola, lo sport regala speranza”

Da Suisio alla Sierra Leone per imparare l’inglese e per vedere l’Africa. È il percorso particolare fatto da Matteo Corbetta, giovane di Suisio, laureato in Scienze Motorie e allenatore.

L’idea è nata durante la sua festa di laurea, qualche mese prima era stato a Dublino e da lì era sorto il desiderio di riuscire a superare l’ostacolo principale: apprendere la lingua inglese. Matteo racconta: “Non potevo permettermi un soggiorno in Inghilterra, perciò don Filippo, parroco di Suisio, mi ha proposto di andare in Sierra Leone dove c’era anche padre Antony, il quale già aveva svolto servizio nella nostra comunità bergamasca”. Matteo ha subito pensato “Perché no?”, è partito a gennaio, nonostante il parere contrario della fidanzata, della famiglia e degli amici.

“Sono partito solo con il biglietto di andata, perché credevo che sarei tornato molto presto, convinto che avrei trovato disordini e una situazione difficile”. Nulla di tutto ciò, Matteo non solo non torna, ma vive 4 mesi e mezzo a Waterloo, nella diocesi di Freetown, in una casa parrocchiale, con padre Antony e con il parroco John Garrick.

Dopo essersi acclimatato (35° e un’umidità molto elevata), Matteo, ‘white man’, così chiamato da tutti gli abitanti sierraleonesi, ha iniziato ad allenare i ragazzi della parrocchia per svolgere diverse attività sportive. Ha insegnato loro cos’è una seduta di allenamento, l’organizzazione, la puntualità e la solidarietà tra i compagni di squadra.

Da tempo, i ragazzi non si riunivano per giocare a calcio o a pallavolo, a causa del virus Ebola, (erano vietati i raduni per evitare la diffusione del contagio). “Quando arrivai, era appena terminato il periodo di controllo dell’Ebola. Il mio obiettivo era educativo, volevo che sviluppassero un senso critico verso la realtà, oltre allo spirito di squadra e al rispetto per l’altro attraverso lo sport. Un giorno a settimana mi recavo a Kwama, un villaggio vicino, dove allenavo altre squadre e insegnavo Educazione Fisica in una scuola superiore.

Continua: “Ho ricevuto una grande ospitalità, ero sempre al centro dell’attenzione, la gente mi osservava con attenzione, per questo ho cercato di essere un buon esempio per i ragazzi”.

Differenze? “Non c’è acqua corrente, ci recavano al pozzo più vicino con dei fusti di benzina a raccogliere l’acqua. La corrente elettrica è un servizio gratuito, fornito dal governo, tuttavia non è disponibile tutti i giorni, perciò spesso cenavamo al buio. Mangiavamo a giorni alterni solo: pollo, pesce e riso, ho perso 13 kg!”.

In Sierra Leone, Matteo è anche andato a trovar Monsignor Natale Paganelli, vescovo di Makeni (bergamasco, nativo di Grignano) e la sua prima richiesta è stata di poter mangiare un piatto di pasta!

Tornato a casa, Matteo si sente più consapevole. “Osservo e affronto i problemi da un altro punto di vista, sono più ottimista e sono soddisfatto: il mio inglese sta migliorando”.

Ritornerai? “Forse un giorno, ora resto a Suisio, a dare una mano alla mia comunità, è più difficile essere cristiano qui”. Il sogno nel cassetto? “Insegnare Educazione Fisica in inglese nelle scuole italiane”.

E per concludere Matteo dedica uno spazio ai ringraziamenti: “Don Antony, una guida indispensabile per tutto il tempo trascorso in Sierra Leone, don Filippo Bolognini, il filo conduttore tra Suisio e Waterloo, il Vescovo Paganelli per l’accoglienza ricevuta, la comunità di Suisio che ha sostenuto alcuni progetti locali, la mia famiglia che ho messo a dura prova e infine la mia fidanzata che mi ha aspettato e sopportato!”