Dopo Nizza e dopo il golpe in Turchia. L’Islam e l’Occidente: una guerra di culture politiche opposte

Foto: immagini del dopo-Golpe in Turchia

Il terrorismo non ha mai avuto scopi militari, ma culturali e politici. Ne uccide a decine, ogni volta, per “educare” milioni e milioni di uomini. Vuole farci arrendere, usando la minaccia più decisiva che esista: quella di essere privati della vita, propria, dei propri cari, dei propri amici, quella di dover abbandonare stili di vita, spesso conquistati duramente. La prima reazione al terrore resta sempre la ragione pensante. Solo ciò che viene veramente pensato e compreso cessa di generare emozioni irrazionali per diventare occasione di una controffensiva razionale e strategica.

IL TERRORISMO È ISPIRATO DAL FONDAMENTALISMO ISLAMICO

Proviamo a fissare i punti-chiave, le linee dirimenti. Sono la base per decidere che cosa chiediamo ai nostri rappresentanti politici in Italia e in Europa e che cosa dobbiamo pensare e fare noi personalmente. Primo: il terrorismo è ispirato dal fondamentalismo islamico. Non importa se l’attentatore è credente o no, se è emarginato o no, se è arabo o europeo: ciò che lo spinge è una cultura politica di matrice fondamentalista islamica. Che cos’ha in comune il fondamentalismo islamico con il moderatismo islamico? Solo e semplicemente l’Islam. La tesi che il fondamentalismo islamico non c’entri con l’Islam è intellettualmente inconsistente. La cultura politica – la visione del mondo, della storia, dell’individuo, del maschio e della femmina, della società civile, dello Stato – dell’Islam moderato e quella del fondamentalismo terrorista coincidono.

ISLAM FONDAMENTALISTA E ISLAM MODERATO HANNO IN COMUNE L’ISLAM

Ambedue attribuiscono alla cultura politica di derivazione cristiana il sottosviluppo culturale, scientifico, civile della comunità islamica mondiale. Ne traggono conclusioni operative diverse: secondo i fondamentalisti, occorre tornare ai fondamenti, appunto, e scatenare la lotta armata contro “i crociati”. Per l’ala moderataErdogan?occorre praticare una politica di potenza (che implica anche l’appoggio momentaneo all’ISIS, se serve a far collassare la Siria) oppure commerciare in petrolio con l’Occidente con il petrolio – Arabia saudita e Emirati arabi (salvo finanziare copiosamente le organizzazioni terroristiche islamiche); per l’ala fondamentalista occorre far esplodere fisicamente i luoghi pubblici, torturare, accoltellare. Secondo alcuni autorevoli commentatori, arabisti francesi e italiani, ciò che sta accadendo è principalmente una guerra civile interna al mondo islamico. A noi europei arriverebbero solo gli schizzi di sangue. A parte il fatto che la metafora minimizza la quantità di sangue versato a Parigi, Bruxelles, Nizza, Istanbul, Dacca, Nigeria, Usa… l’assunto è falso: la guerra per l’egemonia all’interno del mondo islamico è funzionale alla guerra globale contro l’Occidente, qui inteso come cultura politica di derivazione/laicizzazione cristiana.

IL BERSAGLIO SIAMO NOI. LE TROPPE COSE CHE CI DIVIDONO DALL’ISLAM

Si tratta, per il fondamentalismo islamico, di vincere all’interno per vincere all’esterno, contro l’Occidente. Dunque, il bersaglio siamo noi. Bersagli dell’Islam, tutto quanto, fondamentalista e moderato sono: l’idea del valore assoluto della persona umana, maschio e femmina; la libertà della donna di vestirsi o di svestirsi, di giocare a calcio, di andare in bicicletta, di guidare una macchina, di andare a scuola, di portare o no un velo; la libertà di praticare la virtù o il vizio e la distinzione tra il reato e il peccato; la separazione della religione dalla politica; la libertà di essere credenti in un Dio o in un altro o in nessun Dio; la libertà di cambiare Dio, cioè di convertirsi. Esiste una controprova di tutto ciò? Sì. Basta confrontare la Dichiarazione universale dei Diritti del 1948 con la Dichiarazione islamica dei diritti dell’uomo di Parigi del 1981, revisionata nel 1990 al Cairo. Gli uomini hanno tutti i diritti riconosciuti dalla Dichiarazione del 1948, salvo che entrino in contraddizione con la Legge divina, interpretata dalla sharia islamica. Perciò è il Corano che decide, cioè coloro che si proclamano suoi interpreti legittimi. Insomma la Dichiarazione islamica dei diritti è un ossimoro.

ISLAM ANTAGONISTA RISPETTO AL CRISTIANESIMO

Che cosa possiamo fare? Intanto, comprendere finalmente che la matrice religiosa del terrorismo islamico non è un pretesto, non è la copertura di tensioni sociali, di emarginazioni e di povertà: ne è il motore! Certo, il cosiddetto Occidente laico e ateo fa fatica a capire, ormai, che la fede religiosa è una potente matrice di senso per gli individui, che attraversano nel breve arco di una vita la storia del mondo. Di fronte allo sconnettersi delle società e delle comunità umane, travolte dalla globalizzazione, la fede religiosa offre coordinate per l’individuo e per la comunità. Costruisce comunità. Da cinquecento anni a questa parte noi abbiamo pensato, viceversa, sempre più estesamente che la fede religiosa sia una sorta di bassa coscienza popolare, destinata ad essere superata dallo sviluppo della filosofia e della scienza – per Hegel, diversamente dal suo erede di sinistra K. Marx, la religione non è ancora l’oppio dei popoli, ma resta lo stadio inferiore della coscienza nel suo sviluppo verso l’Assoluto. Ogni religione, a sua volta filtrata dalle vicende della storia, produce una cultura politica. Nel caso dell’Islam, è antagonistica rispetto a quello di matrice cristiana. È un fatto. Non si tratta di una guerra di religione, ma di una guerra di culture politiche, di visioni del mondo, della storia, della vita. Non è piacevole prenderne atto, non ci siamo più abituati, benché anche noi europei abbiamo una lunga e sanguinosa storia di guerre di religione alle spalle, finita ufficialmente solo con la Pace di Westfalia nel 1648.

CI VORREBBE QUELLO CHE MANCA: UNA POLITICA EUROPEA UNICA

Che significa prendere atto, oggi, della guerra globale scatenata contro l’Occidente dall’Islam fondamentalista, con la sostanziale neutralità di quello moderato? Intanto, servono una politica estera e di difesa europea comune e un coordinamento mondiale. Il terrorismo fondamentalista si muove su scala globale. La risposta può essere efficace solo se globale. Ad una nuova politica estera appartiene una politica commerciale, che in nome del petrolio, non chiuda più gli occhi sulle palesi e costanti violazioni dei diritti umani. Il benessere energetico viene pagato con il sangue. Forse, serve a minor benessere meno sangue. L’Arabia saudita e gli Emirati arabi ci vendono il petrolio, con gli eurodollari comprano pezzi di città europee, squadre di calcio e contemporaneamente finanziano gruppi terroristici, che uccidono centinaia di nostri cittadini. L’intera politica medio-orientale delle potenze europee deve essere rivista alla radice. E poi c’è una battaglia culturale da fare. Esiste tutta un’intellettualità europea nelle Università e sui giornali che si trastulla con l’Islam moderato e con Tarik Ramadan, e cita di continuo Averroé, Avicenna e i matematici arabi, ma rifiuta di aprire gli occhi il presente dell’islam, che non ha mai visto la rivoluzione umanistica, scientifica e industriale. Per le grandi masse mussulmane, l’alfabetizzazione avviene attraverso la sola lettura del Corano. Mentre da secoli la Bibbia ha cessato di essere la summa del sapere umano, il Corano è il libro assoluto, alfa e omega del sapere. È la giustificazione religiosa dell’ignoranza. Come non ricordare l’ordine che – si racconta – diede a suo tempo il sultano al generale che era entrato nella grande Biblioteca di Alessandria, appena conquistata: i libri dovevano essere tutti bruciati, perchè o dicevano ciò che si trovava già nel Corano – e allora erano inutili – o sostenevano posizioni contrarie al Corano – e allora erano empi. Non si propone qui esportare eserciti o armi, ma libri. Per noi strategica diventa, a questo punto, la presenza degli immigrati. La loro integrazione culturale è un possibile motore di cambiamento dell’Islam: abituarli alla cultura dei diritti umani, alla parità uomo/donna, farli crescere nelle nostre scuole, insegnare alle giovani generazioni la lingua e la storia del mondo… Per tutto ciò, serve la nostra diretta testimonianza. Difficile insegnare ad altri ciò di cui non si è per primi convinti testimoni.