Il futuro dei M5S, con la partenza – buona – da Torino e – men che mediocre – da Roma. Con qualche rischio all’orizzonte

Foto: Virginia  Raggi, sindaca di Roma e Chiara Appendino, sindaca di Torino

Un minimo di lungimiranza – preso atto di com’è messa la politica in Italia, anzi in Europa – consiglia di continuar a tener d’occhio i 5 Stelle. I due grandi laboratori di Roma e Torino, con le neosindache Virginia Raggi e Chiara Appendino, sono aperti da circa un mese. Vediamo che è successo finora.

TORINO: PARTENZA SPRINT DI CHIARA APPENDINO

Stavolta cominciamo da Torino, dove qualcuno era stato portato a credere che potessero risiedere, pur paradossalmente, le difficoltà maggiori. Si pensava a un’organizzazione non ancora pronta, in periferia, da parte del Movimento, forse inadeguato a supportare l’appena eletta amministrazione. Tutto il contrario. In Piemonte, parlamentari e consiglieri regionali stanno remando nella stessa direzione. Primo risultato non trascurabile, la Giunta è nata velocemente e senza particolari contrasti, con la prerogativa che, almeno all’apparenza, gli assessorati sono stati distribuiti secondo logica. Che significa? Che il responsabile del bilancio è un commercialista, all’urbanistica scelto un docente universitario di architettura, alla mobilità un ingegnere, allo sport un ex atleta. Normale, ma non in Italia, dove all’agricoltura il più delle volte finisce che ci va un avvocato e alla giustizia un medico.

Consiglio comunale all’esordio, abbattuta del 40 per cento la spesa per gli staffisti, cioè i collaboratori degli assessori. Uno a testa (più uno, ma reclutato fra quelli già dipendenti del comune) e via andare. In soldoni, invece dei 16 milioni all’anno di Fassino (che già aveva tagliato mica male), i torinesi ne cacceranno nove. Il capo di gabinetto? Un funzionario già a libro paga. Direttore generale? Nessuno, almeno per ora. L’ultimo prendeva circa 300 mila euro, “più di Obama”, come aveva denunciato fin dal 2011 proprio Appendino in un’interpellanza, conti alla mano.

Siamo alle prime battute, intendiamoci. Luna di miele in pieno svolgimento. Salteranno pur fuori grane a gogo’, a cominciare dalla problematica No Tav, opera che la sindaca ha nuovamente bollato come inutile. Tuttavia l’inizio sembra promettente, in quanto i cittadini a tutte le latitudini, si sa, vanno in brodo di giuggiole nel constatare che i politici fanno un passo indietro.

ROMA: LA RAGGI, GLI AMICI E GLI AMICI DEGLI AMICI

“Più che un sindaco, abbiamo un album di famiglia”, questa, al contrario, dalle parti del Campodoglio, l’immancabile battuta al vetriolo, alimentata dalla potentissima burocrazia romana. A prima vista, la solita caciara di parenti più o meno stretti e amici degli amici. Passi per il piccolo Matteo, ospite d’onore fra i banchi della maggioranza al debutto in aula di mamma Virginia. Poi sono arrivati i mazzi di fiori dell’ex marito verosimilmente aspirante al perdono, il 18 luglio, trentottesimo compleanno della prima cittadina. Ed ecco l’amico più fedele, Daniele Frongia (“La volete capire che non sono il fidanzato?”, ma non tutti gli credono), accreditato della poltrona di capo di gabinetto e subito dopo dirottato, a causa di una congiura di palazzo, su quella peraltro non meno prestigiosa di vice Raggi, appunto. Per finire col compagno dell’influente deputata Paola Taverna, fresco componente del famoso direttorio del 5 Stelle che dovrebbe aiutare – o tenere sotto tutela – la sindaca.

Allora non è cambiato niente? Tanto più che da piazza Venezia al Colosseo sono ricomparsi perfino i camion-bar (per lo più senza licenza), che Marino aveva cacciato. Cattiverie, dopo neanche trenta giorni, di chi gioca contro, ma il rischio che a Roma s’instauri ancora una volta il famigerato meccanismo dei veti incrociati pare consistente. La rivalità fra Paola Taverna (“Delle polemiche non me ne frega niente”, la sua prosaica dichiarazione) e l’altra matrona, Roberta Lombardi, sta mettendo a dura prova il galletto locale, Alessandro Dibattista, fra i due fuochi. Ma neppure Grillo in persona, mettendosi in mezzo con la sua stazza, ha potuto finora dividere le due contendenti.

La Capitale ha già azzoppato anche questa sindaca? Lei non si è chiusa in una torre d’avorio, ma anzi ha fatto un paio di puntatine presso le municipalizzate dell’acqua e dei rifiuti, che a settembre attendono le nuove nomine. Però la sua è stata una partenza falsa. Forse inevitabile, ma pur sempre falsa.

I POSSIBILI RISCHI PER DI MAIO

Eppure siamo veramente al dunque, in quanto in autunno la politica italiana – con i nodi dell’economia, che potrebbero venire al pettine – difficilmente sarà in grado di tirare ulteriormente a campare. Ecco perché in questo contrasto fra l’approccio pentastellato al governo a Roma e a Torino sta probabilmente il futuro della principale forza di teorico cambiamento. Ma un flop a Roma trascinerebbe con se’ il leader designato Luigi Di Maio e probabilmente Torino non basterebbe a riacciuffarlo per i capelli.