I soldi, la vita che finisce, il litigio diventato più importante del motivo per cui si litiga

In quel tempo, uno della folla disse a Gesù: “Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità”. Ma egli rispose: “O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?». 
E disse loro: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede” (vedi Vangelo di Luca 12, 13-21. Per leggere i  testi liturgici di domenica 31 luglio, diciottesima del Tempo Ordinario, clicca qui)

GESÙ E UNA DISPUTA SU UNA EREDITÀ

Gesù viene coinvolto in una disputa di eredità: due fratelli stanno discutendo e Gesù viene chiamato a fare da mediatore. La cosa non è strana. Gesù è considerato un “Maestro”, un “rabbino”, esperto della Legge e della sua applicazione. I rabbini, i maestri, infatti erano anche giuristi e potevano essere chiamati a dirimere questioni di eredità. Gesù però non accetta: non vuole essere un semplice rabbino. È qualche cosa di molto di più e soprattutto non vuole prendere posizione a favore di uno contro un altro per una questione di soldi e di eredità, ma piuttosto vuole mettere in guardia contro ogni brama di ricchezze e lo fa con una frase perentoria: Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede.

UN RICCONE CHE NON SI ACCORGE CHE STA PER MORIRE

Poi illustra la verità appena enunciata con una parabola. Siamo nel mondo economico palestinese e il protagonista è un ricco possidente. La parabola ce lo presenta non come uno che si arricchisce, ma come uno che è già ricco e che si pone soltanto il problema di come conservare le sue ricchezze. Il protagonista della parabola, infatti, non viene criticato perché è dissoluto – non lo è infatti –, ma perché non ha una visione corretta della vita e la vive dimenticando che finisce, che esiste il limite invalicabile della morte. Solo un soffio è ogni uomo che vive, come ombra è l’uomo che passa; solo un soffio che si agita, accumula ricchezze e non sa chi le raccolga, dice il salmo (39, 6-7). Quell’uomo ignora ormai una verità così semplice e non vive più la sua vita come il salmista del salmo 39: Ora, che attendo, Signore? In te la mia speranza. Di conseguenza quell’uomo è “stolto”, manca cioè di saggezza, conosce le ricchezze, ne possiede molte, ma non conosce la vita. Ha lo sguardo corto.

E Gesù conclude: Così è di chi accumula tesori per sé, e non arricchisce presso Dio.  L’affermazione sembra aggiungere qualche cosa a quanto già detto sopra: non solo bisogna pensare che la vita finisce, ma bisogna anche usare saggiamente dei beni, arricchirsi davanti a Dio. Dio solo è Dio e a lui solo devono riferirsi gli eventi della vita umana, comprese le ricchezze che uno può conquistarsi.

VANITÀ

Una parola domina le letture di oggi: “Vanità”. La parola significa: nulla, menzogna, e anche “soffio”. Dunque “vanità” è tutto ciò che manca di consistenza. La vita umana è così: un soffio. L’uomo non può quasi nulla sul suo avvenire. Allora, per evitare la paura di fronte a questo vuoto, l’uomo agisce, si dà da fare. Ma quale profitto viene all’uomo da tutta la sua fatica e dalle preoccupazioni del suo cuore, con cui si affanna sotto il sole? Tutti i suoi giorni non sono che dolori e fastidi penosi; neppure di notte il suo cuore riposa. Anche questo è vanità!
 E nella parabola: a che cosa serve costruire nuovi granai quando la vita è così drammaticamente a termine?

I GRANDI SCONTRI SU NULLA

È interessante il particolare con il quale inizia il vangelo di oggi: due fratelli stanno litigando per una eredità. È un dettaglio prezioso, non solo per il fatto in sé: si litiga per soldi. Ma per il modo con cui avviene: due fratelli si pongono l’uno contro l’altro. Quando parte un confronto, e quando ci si fissa su quel confronto, tutto precipita, tutto viene sacrificato al confronto. Più si è vicini più il confronto è serrato. Quei due non solo litigano per soldi, ma litigano perché fratelli. Amur de fradèi amur de cortèi, dice il proverbio bergamasco. A quel punto i soldi per i quali la lite è iniziata passano in secondo piano e diventano un pretesto. Ciò che si vuole non sono i soldi, ma il litigio. Quante volte ci siamo trovati a constatare che si litiga per nulla! Una piccola causa diventa una grande causa perché lo vogliamo noi. Anche perché mio fratello, se lo amo, dovrebbe essermi più caro di qualsiasi tesoro. E invece, basta un piccolo tesoro, bastano pochi soldi per farmelo odiare in maniera tenace, irriducibile. Siamo fatti  così: i nostri desideri sono più grandi di tutti i tesori e quando i desideri sono investiti male, si odia senza sosta e senza limiti. In quel momento noi siamo “stolti”, abbiamo perso il senso delle proporzioni, odiamo chi ci è vicino, odiamo per pochi soldi, non arricchiamo più davanti a Dio. Il risultato finale è drammatico: abbiamo guadagnato qualcosa, abbiamo perso tutto, abbiamo guadagnato, forse, un’eredità ma abbiamo perso la vita. Il rischio di perderci esiste.