Le Olimpiadi ribelli. Volevo esserci anche (R)io. Se Federica Pellegrini sogna un selfie con Bolt

Non posso tacere. Quando due passioni come lo sport e la scrittura si incontrano, restare a guardare e a leggere non è sufficiente. È doveroso e piacevole, ma non mi basta. Dunque, a poche ore dall’inizio delle Olimpiadi – la massima espressione del concetto di Sport, anche se forse non più di “sportività” (vedi il ‘caso Russia’) – ci provo anche io. Ci provo qui, rivolgendomi a tutti i lettori del sito, in maniera personale per sentirmi un po’ meno lontano da Rio de Janeiro, dove…volevo esserci anche io, ma sarà per la prossima volta. Vorrei provare a raccontare qui ogni giorno qualche storia olimpica, non notizie e risultati asettici e rincorsi da tutti i mezzi di informazione (sarebbe una battaglia persa), ma le storie, le emozioni, le sensazioni e tutto quello che circonda il mero risultato sportivo, che
certo rimane negli almanacchi, ma non sempre nel cuore della gente.
Quanto scritto in ogni albo d’oro prima o poi sbiadisce, quello che un atleta incide nei ricordi dei tifosi, no. Ogni mattina, qualche riga di riflessione sulla giornata precedente anche con l’aiuto eccezionale di Alfredo Calligaris, che grazie alla sua storia raccontata nel libro “Il Modellatore di Uomini” che insieme abbiamo scritto, ha incrementato la mia devozione nei confronti dei cinque cerchi. Anche perché mai come in questa epoca, le Olimpiadi possono assumere un ruolo cruciale con tutto il mondo che guarda Rio e Rio che ospita tutto il mondo. Nell’Antica Grecia, il tempo delle gare olimpiche era quello in cui ogni guerra si fermava e se è vero che anche il nostro mondo sta vivendo ormai una sua guerra, particolare e che ci disorienta, l’occasione della fiamma olimpica che torna ad accendersi dopo quattro anni è ghiotta per congelare gli spari, le uccisioni e le atrocità e fermarsi a riflettere per ripartire più sereni di prima. Utopia? Forse, ma è doveroso pensarla anche così. Una banalità continuare a considerare le Olimpiadi in modo così nobile e come un mezzo capace di portare la pace nel mondo? Forse, ma esiste un altro evento che per più di due settimane tiene a stretto contatto migliaia di persone, fedi, culture e abitudini di tutto il mondo che “bisticciano” al limite per una medaglia d’oro? In attesa della cerimonia di apertura, la prima immagine che mi ha colpito è stata quella di Federica Pellegrini, la nostra porta bandiera. Intervistata ai microfoni di Sky, una campionessa di livello mondiale, un personaggio capace di attirare l’attenzione di tutti, una donna che non è più la sedicenne stralunata che vinse l’argento ad Atene nel 2004 ha fatto brillare gli occhi raccontando che ha visto i tennisti Nadal e Djokovic al Villaggio, ma che non ha avuto il coraggio di avvicinarli anche se avrebbe voluto un selfie con loro e, soprattutto, ha candidamente dichiarato di essere alla ricerca disperata di un selfie con Usain Bolt. L’Olimpiade fa tornare quei bambini che cercano l’autografo del loro idolo, fa tornare i fanciulli nel paese dei balocchi, fa riscoprire la timidezza e il sentirsi piccoli di fronte a mostri sacri dello sport. Eppure lei è Federica Pellegrini. Forse che l’essenza dei Giochi (e che si chiamino Giochi non è un aspetto da lasciare in secondo piano) sia anche in questo ritorno all’infanzia?