Padre Antonio Paganoni, dalla Valle Brembana all’Australia: «La misericordia è una vita fatta di incontri»

Il sinonimo di misericordia è incontro. E lo dice con convinzione chi torna in Italia, in un piccolo paese ai piedi del monte Menna dov’è nato, dopo più di cinquant’anni vissuti negli Usa, in Inghilterra, nelle Filippine e in Australia. Un ritorno definitivo, «non solo perché ho raggiunto i limiti d’età – dice sorridendo -, ma perché il responso dei medici è stato unanime e con la salute non si può giocare, quindi inizio un nuovo capitolo della mia vita».

È con la sua inconfondibile saggia risata che Padre Antonio Paganoni, per tutti in alta Valle «Padre Nino», si racconta per il Santalessandro. Nato al Cantone San Francesco di Lenna nel 1940, il missionario scalabriniano ha dedicato la sua vita all’accoglienza dei migranti in terre lontane dal campanile del Santuario della Madonna della Coltura che l’ha visto crescere. Ultimo di cinque fratelli, Padre Nino deve la sua vocazione alla madre, «è stata anche una maestra nella fede», e ricorda con commozione quando a sedici anni comunicò al padre, nativo del borgo di Pusdosso a Isola di Fondra e spesso emigrato in Svizzera per lavoro, di voler diventare sacerdote. «Non mi vincolò – racconta -, ma, dopo una lunga passeggiata in silenzio lungo le sponde del Brembo, mi disse di fare quello che più desideravo: questa immagine non me la scorderò mai».

Laureato e per anni vicario episcopale per gli emigranti italiani, latino-americani e albanesi ad Adelaide (Australia), nel suo curriculum vanta numerose pubblicazioni in lingua inglese di studi del fenomeno migratorio. Ma non è solo nella sua decennale vita pastorale spesa tra gli emigranti che Padre Nino si sofferma. «Torno in Italia e la parola più sentita, usata e temuta è “Crisi”. È il concetto più pensato, ma più evitato quasi come una malattia che non si riesce a levarsi di dosso e di cui, almeno a volte, non siamo disposti a parlarne. Mi spiego meglio: a me piace mischiarmi tra la gente e a volte qui in alta Valle vado anche al bar per capire meglio come si vive e ho percepito un senso di malinconia, nel senso che la persone colgono i problemi, ad esempio si lamentano dello spopolamento, ma non cercano la soluzione». E la lettura della società italiana prosegue. «La povertà reale è di gran lunga minore rispetto a quella percepita in Italia, perché qui sono poveri di speranza, d’ottimismo, di fiducia. Ecco, è la fiducia che manca, non solo in Val Brembana ma in tutta Italia!».

Per lo scalabriniano, la differenza è abissale tra la crisi degli anni Cinquanta, «che aveva colpito anche la mia famiglia e infatti il papà era spesso all’estero per lavoro», e quella di oggi. Allora gli emigrati avevano una scolarizzazione limitata, a volte nulla, ma avevano più grinta: «Prendevano il lavoro come fosse un pezzo di cioccolato – dice Paganoni – e pezzo dopo pezzo se lo guadagnavano e s’impegnavano per guadagnarselo. Una volta si ringraziava il Signore per l’opportunità di un lavoro, anche se era all’estero lontano dalla famiglia, ma oggi chi si ringrazia?». E il missionario racconta l’esempio di un giovane odontotecnico delle Marche che recentemente ha incontrato ad Adelaide: era in gamba e Padre Nino l’ha aiutato a trovare un lavoro nel campo in cui era diplomato, ma dopo un mese si è licenziato perché la sera non c’era la movida in città e lui aveva deciso di visitare l’Australia. «Gli ho subito chiesto come faceva senza un lavoro, perché i soldi guadagnati in quel mese erano parecchi ma la vita nel continente è cara. Mi ha risposto che c’era il papà che l’avrebbe foraggiato dall’Italia. Ma allora è vero che l’Italia non è in crisi, ma sono gli italiani in crisi di valori!».

Quale insegnamento può dare l’Australia a noi italiani? «È un continente giovane in cerca d’identità ma c’è una salda convivenza sociale, nonostante le difficoltà che comporta convivere con persone diverse per cultura e abitudini. Lo straniero è riconosciuto come tale, ma non trattato come diverso o inferiore. Questa esperienza di multiculturalità dovrebbe essere la scuola per l’Italia».

Da uomo di Dio, infine, il missionario fa una riflessione sull’incontro cristiano. «L’uomo cattolico è spesso dispensatore di principi, ma Gesù è diventato uomo per rendere concrete le belle parole. È l’esperienza che fa crescere e il vero testimone è colui che fa e non colui che si limita a dire. Serve un ambiente sociale fatto di incontri e non di scontri, perché i pregiudizi verso gli altri sono come una cancrena per la società. L’incontro diventa una vicinanza che tutti sono chiamati a costruire ed è lì dove la Misericordia di Dio risiede!».

Padre Nino nel mese di agosto rimarrà nella casa della famiglia a Piazza Brembana, dando un aiuto nelle celebrazioni delle Messe nel vicariato. Da settembre inizierà il suo nuovo cammino pastorale ad Arco di Trento, in un istituto scalabriniano. Ma la sua missione continua: «Ho già instaurato una rete di contatti lassù e, per quanto mi sarà possibile, mi renderò disponibile per aiutare nelle parrocchie». Una vita fatta di incontri, nel nome della Misericordia.

(Nella foto di Eleonora Arizzi il missionario è ritratto davanti al Monte Menna, sotto c’è Lenna con il Santuario della Coltura)