Il mare e l’infinito di Dio. Ma il mare dove sono io sta diventando un cimitero

Ho letto con interesse la tua risposta della scorsa settimana. Anch’io avrei una sensazione “da vacanza” da proporti. Sono al mare in una località della Toscana. L’infinità del mare che si perde nel cielo dell’orizzonte ha fatto spesso sognare i mistici: un infinito – quello del mare – che rimanda all’altro infinito, quello di Dio. Ma il mare a me appare anche come un semplice enorme ammasso di acque che, tra l’altro, sta diventando un immenso cimitero con le migliaia di immigrati che, in questo mare, hanno perso la vita. E mi sembra di faticare un po’ a passare dal mare a Dio. Vincenzo

LA TRAGICA REALTÀ DEL MARE

È proprio vero: il mare, purtroppo, caro Vincenzo, – e lo diciamo con le lacrime agli occhi – sta diventando un immenso cimitero che custodisce le spoglie mortali delle migliaia di migranti che tra quelle acque hanno perso la vita! Le immagini che i media portano nelle nostre case ci mostrano quotidianamente tutta la durezza di questa tragica realtà, che va consegnata a Dio nella preghiera e affidata a Lui. Solo il Signore, infatti, può restituire dignità a questi nostri fratelli e sorelle, ai quali la malvagità umana ha veramente tolto tutto!
Allo stesso modo in cui eleviamo al cielo la lode e il ringraziamento per le bellezze della natura godute e assaporate in particolari occasioni, così è necessario riferirci a Dio ed innalzare a Lui la nostra supplica e la nostra accorata intercessione anche quando la stessa creazione diviene, a causa dell’egoismo umano, occasione di sofferenza o addirittura di morte per tanti nostri fratelli.

Anche il mare, come ogni creatura, possiede caratteristiche tra di loro contrastanti, difficili da integrare: come tenere insieme la bellezza e il refrigerio che offre ai bagnanti che sulle spiagge trascorrono giorni di sereno svago, con la violenza delle onde distruttrici, capaci di seminare ovunque distruzione e morte e di fronte alle quale ci sentiamo fragili e indifesi? Non a caso l’antico popolo di Israele, vedeva nel mare l’immagine della forza del male e luogo dove risiedeva il Leviatàn, mostro marino, simbolo del caos primordiale, trasformato in cosmo dal Creatore, quando mise un argine alle acque, segnando così i confini della terra.

LA BIBBIA E LA PAURA DEL MARE

Canta il salmo 103: “L’oceano avvolgeva la terra come un manto, le acque coprivano le montagne. Alla tua minaccia sono fuggite, al fragore del tuo tuono hanno tremato. Emergono i monti, scendono le valli al luogo che hai loro assegnato. Hai posto un limite alle acque: non lo passeranno, non torneranno a coprire la terra.” Mons. Ravasi, parlando del “mare” nella bibbia, afferma: «Sbaglierebbe chi volesse mettersi davanti alle pagine sacre marine con quell’atteggiamento di serena contemplazione, di requie, di pace che forse alcuni nostri lettori stanno sperimentando lungo una spiaggia mentre scorrono queste righe. (…) Se noi, dunque, ci tuffiamo in mare come in una specie di grembo sereno, l’uomo biblico vi penetra con terrore sentendolo quasi come il sudario della morte. Dio solo può strapparlo da quelle fauci, come canta Davide nel Salmo 18: “Stese la mano dall’alto, mi afferrò, mi sollevò dalle grandi acque mi portò al largo, mi liberò perché mi vuol bene”».

NON DIMENTICHIAMO I MIGRANTI

Anche tra le tempeste della vita, mirabilmente simboleggiate dalla furia delle acque, Dio ci offre la sua mano per condurci al porto sospirato. Lo sperimentano sulla propria pelle i numerosissimi migranti che tra il fluire di quelle onde sperano di giungere sani e salvi a terra! In quei momenti solo la mano di Dio li sostiene e li consola. Non dimentichiamoci di loro quando sulle spiagge assaporiamo tutta la bellezza e il refrigerio del mare: anche all’ombra di un ombrellone teniamo il cuore aperto a quei fratelli che, proprio sulle acque dei nostri mari, ne sperimentano spesso tutta la violenza e la pericolosità. Auguriamoci che anche in riviera il nostro cuore si muova a compassione!