#Fertilityday: italiani, fate più figli. Ma gli slogan fanno acqua. Per sostenere la famiglia ci vuole altro

#Fertilityday. Non si tratta dello slogan pubblicitario di un qualche nuovo prodotto per aiutare la maternità, ma dell’hashtag lanciato ad hoc dal ministro della salute Lorenzin per sponsorizzare il “Fertility Day” previsto per il prossimo 22 settembre. La giornata rientra nel  cosiddetto “Piano nazionale per la fertilità” lanciato lo scorso maggio dal ministero della salute per sensibilizzare circa la necessità sociale ed economica della riproduzione demografica, drasticamente colata a picco negli ultimi anni sia nel nostro Paese che nel resto dell’Europa.

Non è certo una novità: già negli anni passati altri Paesi avevano provato a correre ai ripari, cercando i metodi più convincenti per spingere le giovani coppie a invertire la tendenza e ricominciare a fare figli, così da garantire la sostenibilità del welfare per gli anni a venire. Si pensi ad esempio al caso della Danimarca, dove l’anno scorso un’agenzia viaggi aveva ideato la campagna “Fallo per mamma”, chiedendo ai giovani danesi di fare più sesso per rilanciare il sistema di welfare danese.

In Italia, invece, la campagna per il Fertility Day è sponsorizzata dal ministro in persona, che nei giorni scorsi ha messo in circolazioni una serie di cartoline per pubblicizzare l’evento. Peccato che basti dare un’occhiata agli slogan per chiedersi come mai in Italia il tema della maternità sia sempre trattato con approcci e linguaggi che fanno più onore agli anni Trenta del Novecento che non al 2016. Alcuni esempi? “Datti una mossa, non aspettare la cicogna!”, “Prepara una culla per il futuro”, “La fertilità è un bene comune”, oppure “La bellezza non ha età, la fertilità sì”.

Solo slogan pubblicitari per cui è inutile prendersela, dirà qualcuno?  Forse. O forse no. Perché il calo demografico è sì un problema reale, ma il tono che traspare da questa campagna è uno solo, e cioè: è colpa della donna. La donna che dovrebbe essere “culla per il futuro”, che aspetta troppo tempo prima di mettersi a fare figli, e soprattutto, che non si prende cura della sua fertilità che è “bene comune”. Come al solito, quando si affronta a livelli istituzionali il complesso, personalissimo e articolato discorso sulla maternità, lo si fa con un atteggiamento condiscendente, banale e sessista che riduce la donna a mera incubatrice, a portatrice sana della missione comune di ripopolamento del Paese (che come toni riecheggia non poco del “Discorso dell’Ascensione” del 1927…).

Poco importa al Ministero che magari il calo di natalità nel nostro paese non sia imputabile ad una carenza di spirito civico ma ad altri fattori, sui quali peraltro lo Stato potrebbe avere maggior voce in capitolo di quanta invece ne ha di diritto sulle scelte personali e di coppia  di chi decide di avere (o di non avere) figli. Iniziamo per esempio a parlare di lavoro: quanti di coloro che a 25 anni vorrebbero un figlio sono in realtà impegnati a dibattersi tra lavori precari, stage sottopagati o misere occupazioni semi-gratuite che di fatto rendono impossibile anche solo l’idea di formare una famiglia? Parliamo anche di tutele della maternità: una giovane donna che desiderasse diventare madre, sa che dovrà presumibilmente rinunciare al lavoro, sia perché ci sono altissime probabilità che il suo contratto di lavoro non preveda la tutela della maternità, sia perché gli asili nido o i servizi simili sono costosissimi.

Allora forse, cara Ministra, la prossima volta le campagne per la fertilità le faccia scrivere a quelle persone – sia uomini che donne – che un figlio magari lo vorrebbero, e non lo possono avere per cause di forza maggiore. Prima di lanciare campagne pubblicitarie di dubbio gusto, provi a sentire l’amarezza di quei giovani che vorrebbero diventare padri e madri e, per coscienza e responsabilità, decidono che è meglio aspettare tempi migliori. E magari ascolti anche quei giovani che invece i figli non li vogliono, e non per questo sono cittadini di serie B o con minor attenzione al “bene comune” rispetto ad altri. La prossima volta, cara Ministra, da donna a donna le chiedo: se lei avesse un contratto di co.co.co., l’impossibilità sostanziale di mettere da parte dei risparmi perché la vita costa troppo e la prospettiva esclusiva di essere “madre” e basta perchè madre-lavoratrice in Italia oggi è difficilissimo, non si sentirebbe un po’ umiliata dalla sua campagna per il Fertility Day?