Il Vangelo e i soldi. La delusione di Pinocchio

In quel tempo, Gesù diceva ai discepoli: “Un uomo ricco aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: ‘Che cosa sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare’” (Vedi Vangelo di Luca 16, 1-13. Per leggere i testi liturgici di domenica 18 settembre, venticinquesima domenica del Tempo Ordinario, clicca qui)

Strana parabola di oggi e facile a essere fraintesa. Ma come, Gesù loda la disonestà? Come facciamo a spiegarla all’opinione pubblica di oggi che grida “onestà, onestà”, come l’unica parola che conta, per la politica e per tutto il resto?

UN AMMINISTRATORE CHE SA PENSARE AL SUO FUTURO

La parabola dunque parla di un uomo molto ricco perché ha alle sue dipendenze un amministratore. La parola greca che corrisponde a “amministratore” indica un impiegato di alto livello. Costui viene licenziato. Non si dice che sia un ladro, ma soltanto che non sa far fruttare bene le proprietà del padrone. È un cattivo amministratore. Posto – lui così ben situato nella società – nella situazione imbarazzante di uno che non ha più nulla, prende una decisione. “Certi debitori del suo padrone potrebbero diventare i suoi” (Lagrange). Chiama i creditori del suo padrone. Si tratta, probabilmente, di grossisti che hanno ottenuto dall’amministratore delle forniture di merci. I debiti sono rilevanti. 100 barili corrispondevano a un valore di 1000 denari. E un denaro equivaleva alla paga di un giorno. Dunque un debito di mille giornate lavorative, gli stipendi di un operaio per quasi tre anni. Cento misure di grano hanno un valore di 2500 denari quindi di 2500 giornate lavorative. L’amministratore, dunque, mette in piedi un imbroglio. E si tratta di un imbroglio combinato bene e conforme alle abitudini del mondo antico. I debitori dovevano esibire una ricevuta rilasciata dal venditore stesso. Poiché, nella parabola, l’amministratore ha piena facoltà di gestire gli affari del padrone, può modificare a suo piacimento la fattura e quindi ridurre i debiti dei debitori.

Il padrone, stranamente, loda l’amministratore che l’ha derubato. Il padrone però loda l’accortezza, la furbizia. Non loda la moralità del gesto, che non esiste, infatti; ma la tenacia e la forza dei propositi, che sono evidenti. Come un hacker moderno che scompiglia un sistema di informatica: fa qualche cosa di riprovevole, ma dimostra di essere intelligente.

ANCORA UNA VOLTA: DECIDERSI

Sulla bocca di Gesù che senso ha quella lode? Con l’arrivo del regno bisogna decidersi e fare qualche cosa. Non si può lasciar passare l’evento come se nulla fosse avvenuto. Bisogna prendere sul serio l’imperativo dell’ora. La lode, in altre parole, non va alla disonestà, ma alla capacità di decidersi da parte dell’amministratore. Allo stesso modo devono fare i discepoli di fronte all’arrivo del Regno. Il Signore è come se dicesse: guardate il fattore disonesto: lui è stato capace di darsi da fare di fronte a una situazione eccezionale. Fate come lui: decidetevi. Anche voi, infatti, avete di fronte una situazione eccezionale: l’arrivo del Regno.

All’insegnamento sicuramente originario di Gesù si sovrappone quello dei discepoli: è la seconda parte del vangelo, dove è chiara la tendenza a “moralizzare il racconto primitivo”. Ormai la decisione a favore di Gesù e del suo regno è stata presa. Ora si presenta il problema di come vivere dopo quella decisione. Allora l’applicazione della parabola diventa un insegnamento sul buon uso delle ricchezze. A questa fase della vita delle comunità cristiana anche i debitori del v. 4 sono interpretati allegoricamente: sono i poveri che dovranno un giorno accogliere nel regno coloro che avranno ben usato delle ricchezze. Dunque il discepolo deve donare parte dei suoi beni, deve sapere che il denaro non è tutto e che non è possibile servire Dio e il dio Denaro: o uno o l’altro.

CRISI ECONOMICA E SOLDI

Si parla sempre molto di crisi economica, di difficoltà che, dalle nostre parti, abituati come eravamo a una diffusa e facile ricchezza, stanno particolarmente pesando sulle nostre abitudini. In questa situazione avviene talvolta che una notizia data da un ministro o da un magnate dell’economia mette in crisi le borse di mezzo mondo. Il denaro si rivela, anche oggi, Mammona, divinità bizzarra e fragile, bizzarra anche perché rende forti pochissimi e deboli moltissimi. Ora anche questo può servire da spunto per riflettere. Il continuo sospetto del cristiano di fronte alle ricchezze e il loro valore ambiguo è fondato. E soprattutto è fondato il sospetto che possano contrastare l’urgenza della decisione a favore del regno, di Gesù e della sua parola.

LA FAME INSODDISFATTA DI PINOCCHIO

La storia di Pinocchio ci offre uno spunto, mi pare, interessante. Pinocchio ha fame, una fame inenarrabile. Corre per la casa, alla ricerca disperata di qualcosa da mangiare. Va verso il focolare, vede una pentola che fuma. Ma la pentola è dipinta sul muro del focolare. Pinocchio rimane malissimo. A un certo punto vede, sul mucchio della spazzatura, un uovo. “La gioia del burattino è impossibile descriverla: bisogna sapersela figurare. Credendo quasi che fosse un sogno, si rigirava quest’uovo tra le mani, e lo toccava e lo baciava…”. Fa i suoi progetti. Decide di cuocerlo al tegamino. Prepara tutto e poi, alla fine, rompe l’uovo. “Ma invece della chiara e del torlo scappò fuori un pulcino tutto allegro e complimentoso, il quale facendo una belle riverenza disse: “Mille grazie, signor Pinocchio, d’avermi risparmiata la fatica di rompere il guscio! Arrivedella, stia bene e  tanti saluti a casa”. Ciò detto, distese le ali, e, infilata la finestra che era aperta, se ne volò via a perdita d’occhio. Il povero burattino rimase lì, come incantato, cogli occhi fissi, colla bocca aperta e coi gusci dell’uovo in mano”.

Il desiderio di Pinocchio è intenso e quindi la delusione è altrettanto intensa di fronte al desiderio frustrato. L’immagine finale dice bene lo sbigottimento di chi non ha avuto ciò che desiderava e il senso del vuoto e della mancanza che ne deriva. Siamo chiamati a godere di Dio e della sua infinita bellezza. Quando al posto di Dio mettiamo un uovo, non possiamo che restare delusi, come Pinocchio che resta lì cogli occhi fissi, colla bocca aperta e coi gusci dell’uovo in mano. La nostra felicità, la nostra vera felicità sta altrove.