Paola Massi: «Una fede sonnolenta che non si pone domande non può generare nulla»

Qual è il motivo conduttore della «lettera  circolare» del vescovo Beschi, che venerdì verrà ufficialmente presentata agli operatori pastorali della diocesi? Secondo Paola Massi, docente di Religione in un istituto superiore e presidente dell’Azione Cattolica di Bergamo, «il testo risponde bene alle finalità indicate nella sua pagina iniziale: si tratta di uno scritto essenziale, orientato a suscitare in chi lo legge il desiderio di avviare dei processi di condivisione. Però il registro non è formale, burocratico: anzi, risuona come musica di fondo l’eco dell’esortazione apostolica di Papa Francesco “Evangelii Gaudium”. Le indicazioni che la lettera del vescovo dà – per quanto riguarda il futuro delle attività pastorali nella nostra diocesi – rimandano appunto al cuore del documento di Papa Bergoglio: si tratta di rendere adeguato al tempo presente l’impegno a vivere e ad annunciare la gioia del Vangelo; si tratta di trovare dei modi perché questo annuncio possa giungere a tutti, in qualsiasi luogo od occasione. Come nell’“Evangelii Gaudium”, anche in questa lettera circolare ricorre l’immagine di una Chiesa “in uscita”, presente nel territorio e attenta alle concrete situazioni di vita degli uomini e delle donne della nostra epoca; l’invito è a non rimanere indifferenti, a camminare guardando in avanti, senza timore, accettando i rischi legati a questo impegno a uscire da sé».

Nella lettera del vescovo Beschi si prendono in esame anche delle difficoltà della pastorale, nella situazione odierna. 

«La stagione nella quale viviamo ci chiede di prendere slancio, di acquistare un po’ di coraggio per liberarci dai timori che non ci consentono di esercitare una vera “generatività”. Non possiamo restarcene seduti – osserva Papa Francesco –, attenendoci al criterio pastorale del “si è sempre fatto così”. Una vita di fede tiepida e sonnolenta, che non induca a porsi delle domande e a rivedere delle presunte certezze, non potrà mai essere generativa. A me pare che noi abbiamo smesso di essere generativi, appunto, quando abbiamo iniziato ad accontentarci delle pecore già raccolte nell’ovile e non abbiamo più seguito l’esempio del Buon Pastore, che con ostinazione va in cerca dell’unica mancante e – quando la trova – controlla per prima cosa se è ferita, l’abbraccia. Forse ci siamo preoccupati eccessivamente di elaborare grandi piani di ingegneria pastorale, di allestire strutture che dicessero la grandezza delle nostre intenzioni; non ci accorgevamo però che queste strutture si andavano svuotando, perché in esse le persone non si sentivano “a casa”».

Nella lettera circolare si fa anche riferimento al ruolo effettivo dei laici nella vita della Chiesa. Qualche volta, nelle nostre parrocchie, si ha l’impressione che i laici vengano cooptati in diverse attività per sopperire alla mancanza di preti, all’impossibilità per questi ultimi di provvedere a tutto. Lei come vede la questione?

«Il vescovo Francesco parla di “corresponsabilità dei laici”, un’espressione che nell’Azione Cattolica usiamo spesso, per descrivere uno dei tratti qualificanti la vita di un battezzato. Abbiamo davvero bisogno di prendere coscienza dell’importanza, per la Chiesa e per il mondo, di un autentico protagonismo laicale. Concretamente questo comporta che i laici, per primi, si assumano delle responsabilità: occorre che si formino, che sappiano trovare argomenti, parole e soprattutto toni adatti per comunicare con gli uomini del nostro tempo. Si tratta di esprimere chiaramente le proprie convinzioni su ciò che è bene per l’essere umano, accettando al tempo stesso il confronto con le idee di chi la pensa diversamente».

Lei è un’insegnante di scuola superiore. Nella lettera circolare del vescovo Beschi si descrive una deriva oggi in corso, per cui i giovani sembrano spesso “in uscita”, sempre più lontani dalla Chiesa. 

«Il tema del rapporto dei giovani con la Chiesa meriterebbe una riflessione assai articolata. L’esperienza di parecchi anni di insegnamento nelle superiori mi porta a dire che, anche per quanto concerne la vita e la pratica religiosa dei giovani di oggi, gli adulti hanno una grande responsabilità. Spesso i ragazzi, parlando del loro allontanamento dalla Chiesa, lo giustificano come reazione a una religiosità di facciata. Peraltro, questi stessi ragazzi sanno riconoscere con grande lucidità i segni di una fede davvero vissuta, autentica. Aggiungerei che le nuove generazioni si caratterizzano non tanto per un rifiuto della dimensione religiosa, quanto per una certa apatia o indifferenza al riguardo; ciononostante, i giovani non rimangono insensibili di fronte alle testimonianze di persone che, a partire dalla loro fede in Dio, sono capaci di dedizione totale e gratuita, di mantenersi fedeli a grandi principi e valori morali. Anche da questo punto di vista, l’appello del nostro vescovo Francesco a divenire più coerenti e generativi è urgente, per il bene delle comunità religiose e civili in cui viviamo».