Papa Francesco in Georgia e Azerbaijan: «Un viaggio nel segno della pace e del dialogo ecumenico»

Papa Francesco dal 30 settembre al 2 ottobre visita le Repubbliche della Georgia e dell’Azerbaijan, il più vasto Stato caucasico a maggioranza musulmana: il 62 per cento degli abitanti sono sciiti; il 26 per cento sunniti e il 12 per cento ortodossi, legati al Patriarcato di Mosca, mentre i cattolici sono circa 300/400. La zona, ha detto più volte il Pontefice, dovrebbe essere un crocevia di pace e invece sembra essere una polveriera. Per il vaticanista Francesco Antonio Grana, direttore del quotidiano di informazione on line “FarodiRoma”, «questo viaggio si divide in due tappe ma in realtà è un unico, lungo, grande viaggio del Papa che ha come fine la pace tra questi popoli. Papa Francesco, dunque sarà ambasciatore di Pace. Ci sono qui dei conflitti latenti da diversi anni, più o meno violenti, fra l’Armenia e l’Azerbaijan. Bergoglio già in Armenia lo scorso giugno ha chiesto la pace e ora va in Azerbaijan per fare la medesima richiesta, per evitare che si possa riprendere un focolaio di guerra ma soprattutto per invitare i due Paesi a fare in modo che attraverso le azioni diplomatiche, rapidamente, anche con il sostegno della Santa Sede, si possa arrivare a una stabilità. Le rivendicazioni che entrambi i Paesi fanno, possono cessare. È un viaggio di pace che va letto nella sua complessità, vanno ripresi i discorsi di Bergoglio in Armenia e affiancati a quelli che Papa Francesco pronuncerà in Azerbaijan», chiarisce Grana, nato a Napoli nel 1986, fino a poco più di un mese fa vaticanista de “Il fatto quotidiano”.

Quali saranno gli appuntamenti più significativi del sedicesimo viaggio di Bergoglio?

«Sicuramente uno degli appuntamenti più significativi di questa seconda tappa del viaggio in Caucaso, dopo la visita apostolica in Armenia della scorsa fine di giugno, sarà l’incontro con la comunità ortodossa in Georgia, in particolare il dialogo con sua Santità e Beatitudine Ilia II, Catholicos e Patriarca di tutta la Georgia. In Azerbaijan il Santo Padre incontrerà la comunità ortodossa, la comunità ebraica, momenti importanti quelli di Bergoglio con queste realtà locali, che sono molto forti, perché la presenza dei cristiani è una minoranza. Quindi un viaggio per visitare la Chiesa cattolica ma anche un viaggio che è dialogo per la pace con le comunità ortodosse e con quella ebraica, sempre con quello spirito ecumenico che caratterizza questo Anno Santo Straordinario della Misericordia, che il Papa ha indetto e che si sta avviando alla conclusione».

In Georgia, ex repubblica sovietica, i cattolici sono l’1% della popolazione (circa 50mila) e vivono una difficile convivenza con gli ortodossi. Inoltre, l’art. 9 della Costituzione georgiana riconosce alla Chiesa ortodossa un ruolo speciale. È auspicabile che la missione apostolica di Papa Francesco possa essere di sostegno alla minoranza cristiana che fatica ad avere un riconoscimento nella Nazione a maggioranza ortodossa?

«Sicuramente la presenza del Papa (ciò avviene in tutti i Paesi che il Pontefice argentino visita) è un segno importante per i cristiani e ancora di più per i cattolici che vivono in quella realtà, perché la prima tappa di ogni viaggio internazionale del Papa è l’incontro con le autorità politiche, con il Capo di Stato con il quale Bergoglio ha sempre un colloquio privato, ci sono poi i discorsi ufficiali. Se nel Paese che Francesco visita vi sono limiti alla libertà religiosa è sempre questa una occasione fondamentale per il Santo Padre per poter chiedere il riconoscimento di diritti, di tutele soprattutto per i cristiani che vivono in sofferenza, con limiti soprattutto nella vita civile ma anche nella libertà religiosa. Quindi sì, la presenza del Papa, l’incontro con le autorità civili, sarà sicuramente un aiuto, un sostegno alla piccola comunità cattolica di Georgia e Azerbaijan. È questa la politica diplomatica della Santa Sede. Ovviamente c’è anche la parte religiosa, della preghiera e del culto che completa il programma del viaggio apostolico, ma l’una e l’altra non si escludono».

Con la tappa in Azerbaijan, Paese visitato da Giovanni Paolo II nel 2002, Papa Francesco conferma la sua tradizione di visita alle periferie del mondo?

«Sì, il Papa scelse Lampedusa come prima periferia geografica, lì avvenne il primo significativo viaggio del pontificato di Bergoglio. In seguito Francesco ha scelto tante altre “periferie del mondo”, pensiamo all’annuncio di dove si svolgerà nel 2019 la prossima Giornata Mondiale della Gioventù, a Panama, nodale crocevia dell’America Centrale. In Europa il Papa ha sempre preferito non andare nelle grandi capitali del Vecchio Continente ma incontrare tante piccole “periferie”, abitate da donne e uomini che non hanno mai ricevuto la visita di un pontefice o se l’hanno ricevuta ciò è avvenuto troppo tempo addietro. Persone che si sentono più isolate, più lontane dal centro, quindi Bergoglio si muove verso la periferia, affinché quest’ultima possa parlare al cuore della Chiesa cattolica ed essere il vero punto di guida dell’azione della Chiesa stessa. Del resto anche l’attenzione di Francesco ai migranti, agli “scartati” del Terzo Millennio è una politica fondamentale».

Il Pontefice ha detto di aver accolto l’invito a visitare questi Paesi per due motivi: “Da una parte valorizzare le antiche radici cristiane presenti in quelle terre, sempre in spirito di dialogo e con le altre religioni e culture, e dall’altra incoraggiare speranze e sentieri di pace”. Per Bergoglio il dialogo non è un confronto di verità ma è sempre un incontro di persone?

«Certamente, sempre. L’incontro con la persona di Gesù Cristo non è un insieme di norme o di dottrine, anche se ancora qualcuno all’interno della Chiesa è convinto che sia così, sbagliando. Lo stesso Bergoglio nell’esortazione post sinodale “Amoris Laetitia” ricorda l’importanza del dialogo, dell’abbraccio. L’abbraccio con i tossicodipendenti di una comunità di recupero come l’abbraccio storico a L’Avana con il Patriarca di Mosca Kirill. Dialogo quindi sempre importante sia a livello micro con realtà difficili sia a livello macro, mediante l’azione diplomatica della Santa Sede ma sempre a favore della Pace».

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