La scuola italiana e i suoi insegnanti, poco motivati, poco pagati

Non c’è Paese al mondo in cui si dovrebbe festeggiare la Giornata dell’Insegnante (5 ottobre) più che in Italia, ma non c’è Paese al mondo in cui si festeggerà meno. Se va bene, la ricorrenza passerà sotto silenzio; se va male, sarà l’occasione per rinverdire i più triti luoghi comuni sugli insegnanti italiani che lavorano poco e fanno troppa vacanza (la vulgata non riesce a considerare le ore extra scolastiche che un professore impiega per preparare lezioni, correggere prove, presenziare a riunioni, studiare).

I MENO PAGATI DI EUROPA

Sarà un vero peccato non approfittare dell’occasione per ristabilire alcune piccole verità sui docenti italiani: ricordando, per esempio, che sono i meno pagati d’Europa, e che però è grazie a loro se la scuola italiana ancora regge, formando studenti che, in larga parte, non hanno nulla da invidiare ai coetanei degli altri Stati (prova ne è la conclamata impreparazione degli studenti stranieri, soprattutto anglosassoni, in discipline come la storia o la letteratura, la filosofia o la storia dell’arte).
La Giornata potrebbe essere l’occasione per l’annuncio, da parte del governo, dell’unica, vera, urgente riforma scolastica di cui l’Italia abbia bisogno: l’aumento degli stipendi dei docenti. Solo stipendi più alti, in una società materialista, può contribuire a rivalorizzare la figura dell’insegnante, ridandogli quel credito e quella considerazione sociale che ha ormai perso da tempo. Solo stipendi più alti possono attirare le menti migliori, rendere l’insegnamento una professione ambìta, aumentandone la qualità. Non ci sono i soldi? È compito dei politici, di solito sensibili all’argomento, trovarli.

GIUDICARE GLI INSEGNANTI. DIFFICILE

Si dirà: tra gli insegnanti ci sono lavativi, inetti, incompetenti; bisogna aumentare lo stipendio solo a chi se lo merita. D’accordo, ma qual è il metro con cui giudicare un insegnante? I voti dei suoi alunni? A volte i voti bassi sono sinonimo di bravura, perché vengono da un insegnante esigente, altre volte sono segno di incapacità, perché vuol dire che un docente ha trasmesso poco o nulla ai suoi allievi. E poi: chi dovrebbe giudicare un insegnante? Il suo preside, assistito da una un comitato di genitori e studenti, come vuole la riforma Giannini? Davvero i presidi e i comitati sono così equanimi, giusti e innocenti da giudicare in base al merito (ma di nuovo: quale merito?), e non sulla base di amicizie, simpatie, ruffianerie? Assurdità al cubo.
L’ultima riforma scolastica, purtroppo, sancisce un principio sbagliato: perché non esiste che una scuola nazionale abbia presunti insegnanti più bravi, a cui si riconosce un aumento retributivo, e altri meno. Cosa dovrebbe pensare un genitore, sapendo che l’insegnante di suo figlio non ha ricevuto aumenti di stipendio, mentre il docente della classe parallela sì?

TUTTI UGUALMENTE BRAVI

Come ha scritto Guido Baldi in un saggio illuminante, La sfida della scuola (Paravia), i docenti italiani devono essere tutti ugualmente bravi, tutti ugualmente preparati, tutti ugualmente capaci. Si dirà: pura utopia. Non è detto: la strada per raggiungere un traguardo così ambizioso è segnata dallo stesso Baldi in diverse tappe: un ritorno a un’università davvero selettiva e professionalizzante; concorsi obbligatori per chi vuole entrare nella scuola che valutino conoscenze, attitudini, carriera scolastica superiore e universitaria (la riforma va solo in parte nella giusta direzione); verifiche periodiche dell’attività didattica e del costante aggiornamento degli insegnanti, attraverso commissioni di ispettori ministeriali (non presidi), che prevedano, se non il licenziamento, almeno il trasferimento a mansioni non didattiche.
Sono, in sintesi, i puntelli di una riforma della scuola che permetterebbe una selezione meritocratica sensata, formerebbe nel tempo una classe di docenti valida nella sua totalità e richiamerebbe ad insegnare professionisti che, allo stato attuale della situazione (e degli stipendi), giudicano l’insegnamento come l’ultima spiaggia, o non lo prendono nemmeno in considerazione. Sarebbe una riforma giusta, intelligente e salutare: perciò non si farà mai.