Il cardinale Walter Kasper è ormai conosciuto come «il teologo della misericordia»; questo, da quando Jorge Mario Bergoglio, nel suo primo «Angelus» dopo l’elezione in conclave, elogiò pubblicamente un volume del prelato tedesco, pubblicato in Italia da Queriniana con il titolo Misericordia. Concetto fondamentale del vangelo – Chiave della vita cristiana («Mi ha fatto tanto bene, quel libro», affermò il Papa). Proprio sul tema della Misericordia il cardinale Kasper ci aveva concesso lo scorso anno un’intervista (il testo può ancora essere letto qui). In questa settimana, il presidente emerito del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani è stato a Bergamo, dove ha tenuto una lectio magistralis nell’ambito dell’iniziativa delle Acli «Molte fedi sotto lo stesso cielo». Lo abbiamo incontrato nuovamente, questa volta ponendogli delle domande su un altro suo libro, più recente, edito sempre da Queriniana e intitolato Papa Francesco – La rivoluzione della tenerezza e dell’amore. Radici teologiche e prospettive pastorali (pp. 136, 13 euro).
Eminenza, nelle prime pagine di questo volume si ricordano gli aspetti di crisi (lo scandalo Vatileaks, le accuse di vario tipo portate contro la gerarchia cattolica) che avevano segnato l’ultima parte del pontificato di Papa Benedetto XVI, fino alle sue dimissioni. Con Papa Bergoglio, si dà per la Chiesa l’opportunità di un «nuovo inizio»?
«Effettivamente si è aperta per la Chiesa la possibilità di un nuovo cominciamento. Però occorre aggiungere che il progetto di riforma della vita ecclesiale perseguito da Francesco si pone nel solco della tradizione, in continuità con i Papi precedenti; certo, rispetto a loro possiamo notare accenti talvolta diversi, ma questo è del tutto naturale, poiché un Papa è un essere umano, con un suo carattere e sue dinamiche personali. D’altra parte, vi è un rapporto di grande stima e amicizia tra lo stesso Francesco e Benedetto XVI. Si potrebbe semmai dire che Papa Bergoglio, incentrando la sua azione pastorale sul tema della “misericordia”, ha iniziato a scrivere un nuovo capitolo di una stagione storica della Chiesa iniziata con il Concilio Vaticano II».
Nei discorsi e nei documenti di Papa Francesco ricorrono spesso riferimenti alla «sinodalità», come forma ideale di governo della Chiesa.
«Il principio della sinodalità non va contrapposto alla funzione primaziale del Papa: sono due poli che rimandano l’uno all’altro, completandosi a vicenda. Il termine greco sýnodos significava originariamente “cammino che si percorre insieme”; e tutti i cristiani, in virtù del battesimo e della cresima, sono chiamati a procedere insieme, nella Chiesa, sotto la guida del Papa. Quest’ultimo, a sua volta, deve ascoltare la voce dei fedeli e dell’episcopato. Ne abbiamo un esempio perfetto con il “Concilio di Gerusalemme”, che si tenne intorno all’anno 49: in quell’occasione, dovendo affrontare i problemi della comunità cristiana del tempo, Pietro volle ascoltare gli altri apostoli e tenne poi conto delle loro valutazioni. Ecco, proprio nel racconto di Atti, 15 possiamo trovare un modello di riferimento per la sinodalità».
Quale ruolo hanno i poveri, nell’ecclesiologia e nella visione pastorale di Francesco?
«Dal Vangelo apprendiamo che i poveri sono prediletti da Dio; questo non significa che Egli non ami le persone benestanti; però è anche vero che chi è ricco e potente in molte circostanze può essere d’aiuto a se stesso, non necessita di un soccorso materiale da parte degli altri. Per questo, Dio Padre è particolarmente vicino ai suoi figli più bisognosi, a chi più soffre. In epoca recente, anche per quanto riguarda la missione della Chiesa si è coniata la formula “opzione preferenziale per i poveri”, senza – lo ripeto – che questo porti a escludere altre categorie sociali. Papa Francesco ha detto più volte che la Chiesa deve portarsi nelle periferie del mondo, deve andare incontro ai deboli, agli emarginati. Le periferie a cui si riferisce il Papa non sono, ovviamente, solo quelle delle nostre città, ma sono – più in generale – quelle dell’esistenza umana».
A proposito di «centro» e «periferie»: un commentatore autorevole – il filosofo Massimo Cacciari – sostiene che, secondo Papa Francesco, il futuro del cristianesimo si deciderebbe al di fuori dell’Europa, in America Latina, in Asia.
«Dalla fine della Seconda guerra mondiale di fatto è venuta meno una “visione eurocentrica”, che assegnava al nostro continente un primato sul resto del pianeta; sul piano politico ed economico, è andato crescendo il ruolo di altre regioni del mondo. Nel prossimo futuro, probabilmente, verrà ancor più in primo piano l’America latina (il cui nome – con l’aggettivo “latina” – rimanda comunque a un’eredità culturale europea), insieme alla Cina e all’India. Noi abbiamo lasciato un retaggio importante a questi Paesi, ma non sempre in chiave positiva: da noi essi hanno ereditato valori ma anche vizi. Proprio per questo, non possiamo assistere da semplici spettatori ai cambiamenti in corso: dobbiamo aiutare queste nazioni nel loro processo di crescita, anche da un punto di vista spirituale».
Dobbiamo prepararci a passare bene un testimone, per così dire?
«No, non direi che l’Europa debba cedere definitivamente ad altri qualcosa che poi non le apparterrebbe più. Anzi, per poter avere un ruolo significativo nelle trasformazioni in atto il nostro continente dovrebbe riappropriarsi della sua tradizione morale e spirituale, dovrebbe riscoprire i valori cristiani di solidarietà e accoglienza. L’alternativa è la disgregazione, come dimostrano anche gli eventi assai preoccupanti di questi mesi. Ma tornando alla questione se davvero il futuro del cristianesimo si deciderà al di fuori dell’Europa: forse in avvenire non vi sarà più un rapporto di subalternità delle “periferie” del mondo rispetto a un unico “centro”; potremmo immaginare più centri e un cristianesimo auspicabilmente capace di accordare la pluralità di differenti culture con l’unità della stessa fede».
Che cosa pensa, invece, delle critiche che certi ambienti cattolici muovono a Francesco? Alcuni dicono, per esempio, che Papa Bergoglio «piace troppo, piace a troppi»; si sostiene che la sua grande popolarità non si accorderebbe con il dovere di richiamare gli uomini al rispetto della verità, di principi morali che potrebbero essere non così graditi alla mentalità corrente.
«Già questa critica dimostra che il Papa ha anche degli avversari: non è affatto vero che egli si preoccupi di “piacere a tutti”. Per esempio, Francesco sa bene, intervenendo con forza su grandi problemi di portata mondiale, di farsi anche dei nemici. Era già successo, in altre situazioni, ai Papi che l’avevano preceduto; non stupisce perciò che anche nei riguardi di Francesco avvenga una “polarizzazione” dei giudizi, in alcuni casi pure tra i cattolici. Tuttavia, la grandissima maggioranza dei fedeli è con lui. Perché? Egli ha una straordinaria capacità di comprendere il sensus fidei, il senso della fede vissuta del popolo di Dio; io ritengo che questa sua capacità sia un dono dello Spirito alla Chiesa universale».
Nelle pagine conclusive di Papa Francesco – La rivoluzione della tenerezza e dell’amore, Lei afferma che non può essere un Pontefice, da solo, a portare a compimento una vera riforma della vita ecclesiale. Ecco, non vi è il rischio che si proceda un po’ per delega da parte dei vescovi, dei preti e dei laici? Che tutto venga affidato all’intelligenza profetica e allo spirito d’iniziativa di Papa Bergoglio?
«In preparazione ai due Sinodi sulla famiglia del 2014 e del 2015, il Papa aveva chiesto a tutte le diocesi del mondo di esprimersi, di contribuire alla definizione dei temi che sarebbero stati trattati. Analogamente, durante i lavori sinodali egli ha sempre ascoltato con grande attenzione gli interventi dei vescovi. Infine ha parlato, dopo aver operato un discernimento di quanto aveva udito. L’ultima parola, secondo la dottrina cattolica, spetta appunto al Papa: Francesco, con il suo stile, propone tuttavia dei rimedi contro un “centralismo esagerato”; in un mondo sempre più complesso non è possibile che tutto, nei minimi dettagli, venga deciso a Roma. Riguardo alla possibilità che il progetto di riforma ideato da Francesco davvero si realizzi, io ritengo che dipenderà anche da questo: se e in che misura lo faranno proprio le Chiese locali, le comunità religiose, i movimenti, le associazioni, le facoltà teologiche e i singoli credenti».