Quasi 70 mila bergamaschi all’estero. Seimila giovani nel Regno Unito, 5000 scelgono Londra

Il rapporto «Italiani nel mondo 2016» presentato ieri dalla Fondazione Migrantes rende noto che i giovani connazionali maggiormente preparati espatriati nel 2015 sono tantissimi, ben 107.529. Rispetto all’anno precedente a iscriversi all’Aire (Anagrafe degli italiani residenti all’estero) sono state 6.232 persone in più, per un incremento del 6,2%. Hanno preparato le valigie soprattutto i ragazzi tra i 18 e i 34 anni (39.410, il 36,7%); mete preferite la Germania (16.568), il Regno Unito (16.503) e la Svizzera (11.441), mentre le principali regioni di emigrazione sono Lombardia (20.088) e Veneto (10.374).

Una popolazione in movimento quella di questi giovani dinamici e volitivi composta da neolaureati, docenti, artisti, risorse fresche, giovani donne e uomini a cui l’Italia rinuncia. Ma la loro non è però una fuga, come avveniva per la generazione precedente, semmai «una scelta per coltivare ambizioni e nutrire curiosità». Non solo la fascia anagrafica che va tra i 18 e i 34 anni è quella che è più soggetta all’emigrazione (un terzo degli italiani residenti all’estero) ma segue nella graduatoria di chi è emigrato nell’ultimo anno, la fascia di chi ha 49 anni. Facendo presto la somma si nota che le persone maggiorenni con meno di 50 anni costituiscono la metà degli italiani che hanno portato la residenza oltre confine da gennaio a dicembre 2015. Questa mobilità però se da una parte è una risorsa, diventa dannosa se è a senso unico, quando cioè è una emorragia di talento e competenza da un unico posto e non è corrisposta da una forza di attrazione che spinge al rientro.

Nella Premessa del Rapporto si sottolinea  che «solo con  il giusto equilibrio tra partenze e rientri avviene la circolazione, che è l’espressione migliore della mobilità in quanto sottende tutte le positività che derivano da un’esperienza in un altro luogo e dal contatto con un mondo diverso». Tutto ciò è fondamentale per capire il grave problema dell’Italia di oggi: il cosiddetto “brain exchange”, cioè l’incapacità non solo e non tanto di trattenere ma di attrarre dei talenti, un flusso che deve essere bidirezionale, quindi, tra il paese di partenza e quello di arrivo e che riesca nel tempo a soddisfare ma soprattutto ad esaltare le capacità dei soggetti coinvolti. Solo attraverso questa strada di valorizzazione continua e bidirezionale è possibile passare dal “brain exchange” al “brain circulation” evitando il depauperamento dei giovani e più preparati di alcuni paesi a favore di altri, cosa sempre più spesso denunciata in Italia, e spingendo alla realizzazione della migrazione come effettivo e concreto fattore di sviluppo sociale ed economico, tema tanto caro ai padri fondatori dell’Unione Europa. Per il rapporto Migrantes i “doppi migranti”: sono coloro che sono arrivati in Italia da altri Paesi, si sono fermati almeno dieci anni acquisendo la cittadinanza e ora hanno deciso di partire per cercare fortuna altrove. Parliamo di persone originarie del Bangladesh, meta prediletta  il Regno Unito.

«Oggi il fenomeno degli italiani migranti ha caratteristiche e motivazioni diverse rispetto al passato. Riguarda fasce d’età e categorie sociali differenti. I flussi tuttavia non si sono fermati e, talvolta, rappresentano un segno di impoverimento piuttosto che una libera scelta ispirata alla circolazione dei saperi e delle esperienze», è l’affermazione del Presidente Sergio Mattarella contenuta in un messaggio inviato a monsignor Giancarlo Perego, direttore generale della Fondazione Migrantes della Cei. La mobilità dei Millennials «è in itinere e può modificarsi continuamente, perché non si basa su un progetto migratorio già determinato ma su opportunità lavorative sempre nuove». I Millennials, rileva inoltre il Rapporto, «cercano di mettersi alla prova, hanno voglia di nuove e migliori condizioni lavorative, puntano a conoscere e scoprire». È questa la «prima generazione mobile», nella quale il 43% dei giovani afferma di considerare questo status come «unica opportunità di realizzazione».

Emblematico è il caso dei giovani bergamaschi, 6000 attualmente residenti in Gran Bretagna, 5000 solo a Londra. Se alla data del 1° gennaio 2016 gli iscritti all’anagrafe degli italiani residenti all’estero erano 4,8 milioni, nella graduatoria dell’Aire Bergamo occupa la terza posizione in Lombardia: 6800 espatriati considerando che la popolazione è composta da 119.381. C’è chi è partito per Berlino, perché anche se nella bellissima Bergamo vi è un’alta qualità della vita, la capitale della Germania “è il mondo” rappresentato da uno stile di vita alternativo. Qualcun altro ha lasciato Bèrghem ed è approdato nella City londinese dove ha messo radici lavorando con soddisfazione come broker e chi invece in Spagna insieme alla moglie ha aperto un ristorante che sforna gustose pizze e pur avendo nostalgia dell’Atalanta e della sua terra d’origine, non ha nessuna intenzione di tornare sui suoi passi. Ciò a dimostrazione del fatto che il migrante italiano è da sempre con il suo migrare «portatore sano di italianità», la quale si è sempre esplicata in modi diversi tra loro: il gusto, la lingua, il business, la sensibilità artistica, la moda, il design, la musica, la pittura e così via.