La predica della domenica/Troppe parole in libertà, senza ordine

LE PREDICHE “PIZZOSE”

Parliamo ancora di prediche. Per un motivo semplice: il mio articolo della scorsa settimana è stato letto da molta gente. Dunque la cosa interessa. Dunque vale la pena tornarci sopra e non solo questa volta ma anche, per alcune puntate, nelle prossime settimane. Con una domanda: da che cosa può dipendere il carattere “pizzoso” (mi si perdonerà, spero, il carattere un po’ scanzonato del termine) di una predica? I motivi possono essere tanti, naturalmente.

SI INIZIA MALE E NON SI FINISCE MAI

Uno dei più importanti lo si può riassumere con una parola unica: il disordine. Una predica senza uno schema, anche solo implicito, fatta di troppo parole senza ordine, funziona poco. In particolare, la predica talvolta inizia male. Supponiamo che il celebrante inizi dicendo “Oggi celebriamo la trentaduesima domenica del tempo ordinario”. È come invitare a distrarsi: è una non-notizia che non può suscitare il benché minimo interesse. E come inizia male, così spesso la predica finisce male. Soprattutto finisce male quando dà l’impressione di non riuscire a finire, a trovare una frase, una citazione, una battuta con cui chiudere. In quel caso il predicare sembra un pilota che è riuscito a prendere il volo ma continua a volare perché non riesce a trovare la leva giusta per rimettere piede a terra.

CHE COSA DICE LA PAROLA. CHE COSA DICE A ME

Il disordine poi invade talvolta anche il “corpo” dell’omelia, dove dovrebbe esserci una linea, uno sviluppo, un seguito di punti che permette di percepire un discorso sensato e quindi memorizzabile. In particolare in ogni omelia ci dovrebbe essere un “punto” in cui si spiega la Parola e uno in cui la si “attualizza”. In altri termini. Primo: che cosa dice la Parola? Secondo: che cosa dice a noi, oggi? I due punti dovrebbero esserci tutti e due e dovrebbero essere rigorosamente distinti. Prima spiego, poi attualizzo. Se spiego mentre attualizzo e attualizzo mentre spiego suscito nei miei ascoltatori un senso di spaesamento perché confondo la mia parola con la Parola.

L’IMPORTANZA DEL COME: COME SPIEGARE E COME ATTUALIZZARE

Naturalmente ci sarebbe da chiedersi, a lungo, sia come spiegare sia come attualizzare. La “leggerezza narrativa” mentre si spiega e l’amabilità degli spunti di vita dovrebbe rendere e l’una e l’altra cosa piacevoli. La spiegazione, infatti, non dovrebbe mai essere una lezione di esegesi biblica e l’attualizzazione non dovrebbe essere una aggressione moralizzatrice che butta per aria tutto. Rischio forte quello di usare la sua Parola per rendere più dure le nostre parole. Abbiamo bisogno del vento leggero di Elia non dei temporali. Di questi, ce n’è già troppi.