Cerchiamo di capire il fenomeno Trump. Le ricadute in Europa e in Italia

L’AMICO DI SINISTRA ACHE VOTA TRUMP

“Come hai votato?”, ho chiesto a Enrico, un amico di sinistra laica, che si è trasferito da quasi vent’anni in California, Silicon Valley, a sud di San Francisco. La sua risposta è stata “straniante”, alla Bertolt Brecht: “ho votato Bernie Sanders alle primarie del mio partito – il Partito democratico – ed ho votato Trump alle presidenziali”. La spiegazione? Duplice: “la Clinton era il peggior candidato possibile, le élites politiche sia democratica sia repubblicana si sono trasformate in oligarchie, e questo è un peccato che la società americana non perdona!”. Il voto di Enrico, quello di donne bianche, di laureati bianchi, di operai bianchi non si può certo spiegare con una simbolica salita sul carro del vincitore, non solo perché il mio amico non salirebbe mai su nessun carro, ma anche perché le previsioni e i sondaggi segnalavano un altro carro vincente. Due domande, cui rispondere: che cosa è successo negli Usa? quali conseguenze per l’Europa? Partiamo dai numeri. Negli USA, su una popolazione di 325 milioni, gli aventi diritto al voto sono 231.556.000, i votanti sono stati, in quest’ultima elezione presidenziale, 128.843.000 (55,6%). Hilary Clinton ha ottenuto 59.680.035 voti popolari (47.7%) e 232 grandi elettori; Donald Trump ha ottenuto 59.479.278 voti  popolari (47,5 %) e 306 grandi elettori. Il voto bianco, il 70% dei votanti, è andato per il 37% a Hillary Clinton, al 58% a Trump. Gli elettori hanno dato 200 mila voti in meno a Trump, ma 74 grandi elettori in più. Dunque, Trump governa con il 47,5% dei votanti, che sono solo un quarto degli aventi diritto. Con ciò nessuno negli USA si sogna di gridare alla dittatura, come invece accade quotidianamente in Italia di fronte alle ipotesi dell’Italicum. D’altronde, la tenuta del check and balance tra i poteri non consente di azzardare che il sistema istituzionale americano – la democrazia americana – sia a rischio, nonostante lo sconvolgimento del sistema politico.

AMERICA FIRST

L’offerta politica di Trump è stata fin dall’inizio della campagna elettorale, un anno fa, molto nitida: America first, l’America prima di tutto! È il ritorno ciclico e pendolare dell’antica corrente isolazionista americana. In relazione a questa priorità, è andato all’attacco delle élites democratiche e repubblicane, accusate di essere state incapaci di difendere il primato americano, non tanto verso l’esterno – sarebbe stato contraddittorio con il messaggio isolazionista – quanto all’interno: il primato dei nativi americani bianchi, che la presidenza black di Obama avrebbe oscurato. Sul piano culturale, Trump ha mosso un attacco ad alzo zero contro l’ideologia del politically correct, a proposito di diritti, di gender, di omosessualità, di ecologia, di globalismo. Sul piano delle politiche economiche e sociali ha promesso l’abbassamento delle tasse, dal 39% al 25% sui redditi personali, dal 35% al 15% sulle imprese. Ma anche, e contraddittoriamente, un aumento della spesa pubblica in difesa militare, sicurezza, edilizia. Isolazionismo e protezionismo, come quello minacciato contro le merci cinesi. Sul piano internazionale, Trump ha proposto un “ritorno a casa”, l’abbandono dello scacchiere europeo, mediterraneo e mediorientale. Ma anche una distensione con la Russia. Come si vede, l’America di Trump è introversa, guarda dentro i propri confini, fa appello ai nativi bianchi (quelli indiani sono stati sterminati da tempo!), ricchi o poveri, laureati o poco alfabetizzati, ceti medi urbani in discesa sociale e abitanti dell’America rurale profonda, tutti choccati dalle derive feroci della globalizzazione disegualitaria, tra cui l’immigrazione messicana, ma anche arabo-islamica, e dalla perdita di radici. Di qui il sostegno che è stato fornito al neo-presidente dai settori fondamentalisti protestanti. A breve, nella scelta degli uomini-chiave dell’Amministrazione e in quella degli interlocutori internazionali, si potrà capire meglio dove Trump vorrà/potrà andare. Come ha detto Marine Le Pen: non è la fine del mondo, è solo la fine di un mondo! Ma, come ha osservato Moïses Naim, del Carnegie Endowment for International Peace, “è facile prendere il potere, difficile maneggiarlo, facile perderlo”.

LE CONSEGUENZE IN EUROPA E IN ITALIA

Le conseguenze per l’Europa sono chiaramente leggibili: l’Europa è più sola. Avendo rinunciato nel 1954 alla Comunità europea di difesa, per responsabilità del nazionalismo francese, l’Europa di comune ha solo l’Euro – e non per tutti i ventotto stati – non ha politica estera, non ha esercito, ha istituzioni intergovernative, mentre quelle elettive sono impotenti. In Italia, le prese di posizione di molta politica non hanno riguardato il destino dell’Europa e dell’Italia, ma come intestarsi a fini immediati di politica interna del successo di Trump. La vittoria di Trump faciliterà la sconfitta di Renzi? Aiuterà “noi” populisti italiani a far uscire dalle urne referendarie una grande “Vaffa”? Questo è il livello della discussione. E naturalmente sono insorti anche altri interrogativi: perché i sondaggi hanno fallito, quale valore abbia il voto degli “gli ignoranti”, constatato  che sono stati gli elettori meno istruiti a far vincere Trump, ecc… Vecchia discussione quest’ultima, da quando nel 1912 Giolitti cambiò la precedente legge elettorale di Zanardelli del 1882, riconoscendo il diritto di voto agli analfabeti che avessero compiuto i trent’anni, da quando nel 1919 venne abolita la distinzione tra alfabeti e analfabeti. Sì, tutti hanno diritto di voto e lo esercitano ciascuno secondo il proprio orizzonte di coscienza. Ai fini del risultato complessivo è tuttavia decisivo quanto questo orizzonte sia largo. È in base ai livelli di istruzione, di conoscenza del mondo e della storia umana che si depone la scheda nell’urna. E se i livelli sono bassi, la visione della realtà è debole. È in base al mix imprevedibile di passioni, interessi, valori, culture che il singolo vota. Così i minatori di carbone del Kentucky hanno votato per Trump, in odio all’accordo firmato da Obama a Parigi sui gas serra, perché quell’accordo abbassa la produzione di carbone e perciò fa saltare posti di lavoro. Intanto Trump vuole demolire del tutto o quasi l’Obamacare, che coprirebbe i minatori, oggi senza mutua.

E hanno votato anche contro il Trans-Pacific Partnership (Ttp), il Trattato di libero scambio transpacifico per le stesse ragioni. “Abbiamo fatto la storia con il nostro voto da ignoranti”, dicono i minatori. Verissimo. Ma di quale storia si tratterà, ne pagheranno le conseguenze, loro o i loro figli. Non è la prima volta che un voto democratico legittimo realizza l’eterogenesi dei fini. Pare sia una legge della storia.