Preti e laici. “I laici non sanno o non vogliono fare”

Ho litigato con il mio parroco. L’argomento non è nuovo, me ne rendo conto. Il mio parroco dice che sarebbe felicissimo di cedere responsabilità ai laici. Ma, dice lui, i laici non sanno e spesso non vogliono assumerle. E io invece sostenevo che i laici non vogliono o non sanno assumere responsabilità soprattutto perché sono stati scippati dei loro diritti di cristiani da un clero invadente che ha sempre voluto fare tutto. Secondo te, dal tuo punto di vista di monaca, la nostra discussione è proprio fuori del tempo o ha ancora ragion d’essere? Marco

Situazioni diverse

Caro Marco, la tua domanda apre un tema dibattuto, fonte di continuo confronto. Direi, innanzitutto, che il problema si pone in maniera diversa a secondo della realtà ecclesiale e delle zone geografiche. Penso ad esempio all’America Latina le cui comunità cristiane, per la vastità dei territori e per la carenza di clero locale o di missionari, sono animate da laici, catechisti, animatori pastorali. Nella nostra realtà italiana, e in particolare in quella diocesana, la situazione assume forme diverse.

Il prete ancora al centro di tutto

Azzardo alcune considerazioni dal mio osservatorio, consapevole di avere una prospettiva limitata. La tua posizione e quella del parroco sono entrambe legittime e motivate da una realtà complessa e varia quale quella delle nostre parrocchie. Infatti abbiamo una storia di vita cristiana tradizionale, profonda, e una ricchezza di numerosi catechisti e operatori pastorali, e di un presbiterio finora “invidiabile” e unico (ci chiamano la sagrestia del Vaticano), che ha favorito una certa “clericalizzazione” nella vita delle comunità: il parroco, lo si voglia o no, è ancora il centro e il perno attorno al quale ruota tutta l’azione pastorale, dall’evangelizzazione alla carità e all’economia. Pur avvalendosi di organismi collegiali quali il consiglio pastorale e quello per gli affari economici, ecc., nella realtà del vissuto a lui spetta la prima e l’ultima parola. Il coinvolgimento e la responsabilizzazione dei laici dipendono molto anche dalla sensibilità e formazione ecclesiale del parroco, non meno dalle sue doti umane e relazionali. Io non parlerei tanto di invadenza, quanto di una fatica a concretizzare la visione di Chiesa comunionale e sinodale, nella quale la diversità dei doni, dei carismi e delle vocazioni, sono ricchezza a servizio della costruzione del Regno di Dio nella storia.

La fatica di passare dalla teoria alla pratica

Questa realtà è accolta da tutti a livello di principio, ma forse fatica a divenire prassi pastorale condivisa. D’altro canto tale visione di Chiesa esige da parte di tutti una chiarezza di identità e di ruoli non scontata e oggetto ancora di riflessione e studio. Per quanto riguarda la figura del sacerdote, quale profilo e ruolo deve avere in una società complessa e scristianizzata quale sta divenendo la nostra? E il laico, come e dove, è chiamato oggi a testimoniare? A lui, più di prima, è richiesta una maggiore preparazione e assunzione di responsabilità nelle comunità civili e religiose. Il problema non è solo di trovare spazi, quando vengono riconosciuti e promossi, ma di viverli come testimonianza cristiana credibile e affidabile, soprattutto in quegli ambiti nei quali sono necessarie una competenza, un’ etica e una morale trasparenti. Non possiamo sottovalutare lo sforzo nella formazione dei laici che è stato attuato in questi anni nelle parrocchie e nella nostra diocesi. Molto si può ancora fare dentro una sensibilità ecclesiale che deve continuamente maturare perché sia vissuta in pienezza.

Anche il cuore deve cambiare

Da parte di tutti è necessaria un conversione del cuore e della mente per assumere la propria vocazione a essere Chiesa, nella linea della comunione e dell’inclusione. Essa esige il superamento di forme settarie o dei piccoli partitelli che, a volte, nelle parrocchie sorgono creando esclusioni o divisioni, di leader, preti o laici, che esercitano il loro bisogno di potere o di prestigio e non di umile servizio per il bene e la crescita della comunità. In un tempo nel quale la fede sta divenendo scelta di un piccolo resto, è necessaria e urgente la testimonianza di comunità unite che annunciano e vivono il vangelo come via possibile di vita per l’oggi, nella ricchezza di vocazioni e carismi a sevizio dell’utilità comune. Diventano indispensabili donne e uomini contenti, credibili, che siano lievito nella pasta del mondo e che, con la propria professionalità o stato di vita, testimonino i valori del Regno. Il dibattito, caro Marco, rimane aperto, non solo nella ricerca di una significatività del proprio ruolo nella comunità, ma soprattutto nell’impegno di tutti a narrare la Buona notizia che sia sorgente di salvezza e di vita piena per i fratelli in umanità che attendono parole di speranza.