La speranza, nonostante tutto, nei tempi della generale disperazione

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “Come furono i giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti: così sarà anche la venuta del Figlio dell’uomo”.

(vedi Vangelo di Matteo 24, 37-44. Per leggere i testi liturgici di domenica 27 novembre, prima di Avvento “A”, clicca qui).

Il discorso sulle “ultime cose”

Prima domenica di Avvento: inizia il nuovo “anno liturgico”. La liturgia ha i suoi ritmi e le sue scadenze. Ma, mentre tutto inizia, tutto sembra continuare. Due domeniche fa il vangelo era un passaggio del discorso “sulle ultime cose”, il discorso che Gesù tiene poco prima della passione. Oggi, ritorna ancora il discorso sulle “ultime cose”, questa volta nella versione di Matteo, il vangelo che sarà dominante nel nuovo anno liturgico. E ancora una volta ci si presenta la necessità di capire il senso di un discorso così. Gesù, anche nel vangelo di Matteo, non vuole dire quando l’ultimo giorno arriverà. Vuole soltanto dire che esso arriverà inatteso come il diluvio. Ai tempi di Noè la gente non seppe prevedere e aspettare. Erano talmente occupati con le faccende di ogni giorno che non si accorsero della catastrofe che incombeva. Così sarà quando verrà il Figlio dell’uomo. Due donne stanno facendo girare la mola per macinare il grano. Una “è presa”, presa dal Signore che torna, cioè sarà salvata, mentre l’altra, troppo occupata, troppo assorbita dalle cose che sta facendo, mancherà all’appuntamento. Matteo sottolinea, dunque, la totale noncuranza della generazione del diluvio e trae dai fatti di quella generazione un’esortazione per la sua generazione: vegliare, proprio perché il giorno non è noto.

Per accentuare la necessità della vigilanza, Gesù usa l’immagine del ladro. Negli scritti del Nuovo Testamento Gesù viene descritto così: “Se non sarai vigilante, io verrò come un ladro, senza che tu sappia l’ora della mia venuta” (Ap 16,15). Anche il Figlio dell’uomo, dunque, verrà inatteso, come un ladro, nonostante i segni premonitori di cui Gesù ha appena parlato.

Tutto si mischia e muoiono le ragioni della speranza

L’attesa sembra talvolta morire. Per lo stesso motivo per cui moriva ai tempi di Noè. Si mangia, si beve, si prende moglie, si prende marito… E’ in atto una assuefazione alle cose e perfino al male che ci invade da tutte le parti e la nostra vita manca di prospettiva. Già è tanto difficile guadare al presente, che guardare al futuro diventa un lusso impossibile.

La nostra capacità di guardare al futuro e quindi la nostra speranza vacillano perché il presente è un inestricabile guazzabuglio, dove tutto si confonde e ci riesce difficile discernere ciò che dovrebbe durare e ciò che dovrebbe morire. I buoni soffrono come i cattivi, chi fa la guerra come chi costruisce la pace, chi ama la giustizia come chi pratica l’ingiustizia. Una bozza di risposta ci può venire da una affermazione di s. Agostino. Bisogna ricordare che il grande santo vive mentre i barbari stanno invadendo il nord dell’Africa. Un mondo sta finendo. È la catastrofe. Proprio in quegli anni il santo scrive il De civitate Dei, La città di Dio, dove dice: “Se buoni o cattivi subiscono le medesime afflizioni, non è vero che manca ogni differenza fra loro solo perché non vi è differenza nelle loro sofferenze. Rimane la differenza dei sofferenti anche nella somiglianza delle sofferenze”.

Le stesse sofferenze i diversi sofferenti

Bisogna dunque affermare fortemente che la differenza sta in noi, o meglio: nella fede che abbiamo e nella speranza che nasce dalla fede. Non è la stessa cosa aspettare sperando o aspettare disperando, vivere assuefatti e vivere vigilanti e attenti a quello che ci aspetta. In mezzo alla paura di tutti, alla sofferenza di tutti, alla generale assuefazione, il mondo ha sempre più bisogno di gente capace davvero di sperare. Quando tutti disperano della pace, il discepolo grida: “Una nazione non alzerà più la spada contro un’altra nazione”. Questa è la nostra “differenza”: l’unica differenza che conta davvero. Per noi e per tutti quelli che la vita ci fa incontrare.