Verso il referendum. Le bufale della signora Brunetta e la verità (quasi) impossibile

Foto: l’onorevole Renato Brunetta, con la moglie Titti Giovannoni

La signora Brunetta è soltanto l’ultima

La fenomenologia delle “bufale” è sterminata. L’epoca del “dopo-verità” o “post-truth” non è incominciata con la signora Brunetta, che si è spacciata per la signora Di Maio, e che ha riempito i social di insolenze contro Renzi. L’elenco è lungo: dalla leggenda del Prete Gianni a quella antisemita dei Protocolli dei Savi di Sion, dalla Donazione di Costantino, smascherata da Lorenzo Valla nel ‘400, a quella del Vangelo di Barnaba, nel quale Gesù muore a 72 anni, si presume portando a spasso il cane – altro che crocifissione! – a quella che nega l’allunaggio del 1969, riducendolo ad una sceneggiata nel deserto del New Mexico, a quella che attribuisce alla Cia l’attacco alle Torri Gemelle, fino a quelle più recenti e più domestiche che hanno indicato nell’approvazione della legge sulle unioni civili la causa dell’ultimo terremoto, per interposta ira di Dio, o hanno interpretato come una schedatura anti-italiana una ricerca linguistica condotta in Inghilterra…

I social e gli utenti manipolati inconsci

È , comunque, certo che l’avvento dell’era informatica ha reso enormemente più potente e più redditizia sul piano del mercato dei consumi e degli orientamenti di voto la produzione di post-truth. Un’intervista di Marco Guerini sul Corriere della sera del  21 ottobre a Ronald Robertson, autore insieme a Robert Epstein della ricerca “The search engine manipulation effect (SEME è, appunto, l’acronimo che ne deriva)”, segnala le enormi potenzialità di influenza sugli orientamenti di voto dei cittadini dell’uso dei motori di ricerca: fino a spostare il 20% dei voti degli indecisi e fino all’80% degli indecisi in alcuni gruppi etnici. Ma, soprattutto, questi motori sono in grado di manipolare le persone, senza che queste ne siano consapevoli, anzi restando convinte di esercitare al massimo la propria libertà di scelta. I rischi sono gravissimi, le conseguenze politiche possono essere devastanti. La cosiddetta Semiosfera, ben lungi dall’irradiare una luce brillante sul pianeta della Realtà, si trasforma in un labirinto scintillante di specchi che riflettono specchi. Nell’era dell’informazione sovrabbondante, l’accesso alla verità del reale pare diventato più difficile, quasi fossimo prigionieri di una porta girevole.

Bisogna domandare, instancabilmente. Ma non basta

Si può spezzare il cattivo incantesimo? La domanda non è ovviamente rivolta a chi fabbrica “le bufale”, a chi avvelena consapevolmente i pozzi. Costoro si propongono obbiettivi di ricchezza o di potere, ai quali piegano le parole e le immagini, svuotate del loro contenuto di realtà e riempite di paglia come gli animali imbalsamati. La domanda è rivolta a noi, che nel quotidiano ci arrabattiamo attorno a percezioni incerte e a intellezioni problematiche nel tentativo di capire il mondo. Basterà leggere di più, informarci di più, studiare di più, confrontare le fonti? Dovremmo farlo. “La nostra eredità ontologica è il domandare”, è la “skepsis” cioé l’indagine. Lo scetticismo non è relativismo, è indagine. Così G. Steiner. Ma non basta. Non solo perchè non facciamo di mestiere il filologo o lo storico, ma, soprattutto, perchè anche ciascuno di noi è attraversato da passioni e interessi, attraverso i quali leggiamo la realtà, costruiamo la verità e, talora, la deformiamo.

Responsabili della parola

Prima di tutto, prima dell’ascesi della conoscenza serve un’assunzione di responsabilità morale nei confronti della Parola, perchè la Parola genera una responsabilità sociale, politica, morale. Quando parliamo, smuoviamo il mondo. Parlare ci porta fuori dalle nostre biografie, ci getta nel mondo. Come scriveva Adrienne Rich, solo attraverso la parola “my story” diventa “History”, la mia piccola storia personale si intreccia con quella universale. Fondativi della nostra civiltà sono due versetti fondamentali del vangelo di Giovanni: il versetto 1.1 e il versetto 1.14. Nel primo si afferma che “’en arké én ò logos”: “all’inizio era il logos”, un impasto di ragione, parola, verità. Il secondo versetto dice: “ò logos sarx egéneto”, “il logos divenne carne”… e abitò tra noi. Il secondo passaggio è decisivo: la parola diventa carne e sangue, diviene la storia degli uomini.

Il digitale, nuovo oppio dei popoli

L’avvento dell’era digitale, che consumiamo all’ombra dei nostri computer, pare avere spezzato il legame delle parole con la realtà e con la storia, le parole fluttuano liberamente sul mondo, come palloncini colorati portati dal vento. La religione digitale sta diventando il nuovo oppio dei popoli. Non si tratta di carenze gnoseologiche, di un ritorno di fenomenismo o di scetticismo. Togliere la carne alla parola è effetto del nichilismo, di un’ontologia del nulla, per la quale la realtà è la concrezione di una manipolazione creativa e onnipotente ad opera di passioni e di poteri: la parola non dice la realtà, la inventa, la piega. La parola diventa potere, una clava da usare contro gli altri. Di qui l’irresponsabilità civile, politica e morale verso il mondo, verso gli altri. Quando la bolla della verità digitale ci esploderà in faccia, troveremo il paesaggio della realtà devastato. Con l’avvertenza d’obbligo: che di quel paesaggio faremo parte.