Il Battista. Le sue impazienze e le nostre

Foto: la collina della fortezza di Macheronte, luogo della prigionia del Battista

In quel tempo, Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli: “Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?”. Gesù rispose loro: “Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!”.

(Vedi Vangelo di Matteo 11, 1-11. Per leggere i testi di domenica 11 dicembre, terza di Avvento “A”, clicca qui)

Il profeta prigioniero

Giovanni Battista ci era stato presentato, domenica scorsa, come il personaggio che, dal deserto, annunciava la presenza di Gesù. Oggi è il personaggio che “paga” con il carcere la coerenza delle sue denunce. Mentre è in carcere sente parlare di Gesù e sembra che sia preso da qualche dubbio. Non siamo obbligati a immaginare che il Battista faccia finta di avere bisogno di spiegazioni. Gesù usa un “tono” diverso nel suo annuncio rispetto alle aspettative del Battista, non parla nei termini duri e giudicanti. Gesù conosce uno scarso successo rispetto alle folle…  Il Battista è grande anche per questo: mette in dubbio le sue sicurezze e accetta che la sicurezza definitiva gli venga da un altro.

Gesù non risponde direttamente alle domande che gli vengono poste. La risposta è ciò che si vede di lui. Va ricordato, a questo proposito, il senso evangelico dei miracoli come segni: le parole e le azioni si “spiegano” e si integrano a vicenda. I “fatti” citati da Gesù sono comunque descritti con le parole del profeta Isaia: “Udranno in quel giorno i sordi le parole di un libro; liberati dall’oscurità e dalle tenebre, gli occhi dei ciechi vedranno. Gli umili si rallegreranno di nuovo nel Signore, i più poveri gioiranno nel Santo di Israele” (Is 29, 18s).

Il Battista non è “una canna sbattuta dal vento”

Mentre gli inviati del Battista se ne vanno, Gesù parla alle folle proprio di lui, il profeta prigioniero. Non può essere un opportunista, lui che ha è rimasto a lungo nel deserto, luogo dell’assoluta trasparenza, luogo della rivelazione. Il Battista non è una canna sbattuta dal vento, non è un uomo che cerca le mollezze e il potere. Tuttavia il Battista si ferma alle soglie del nuovo: è il “precursore”, appunto. Il nuovo lo supera enormemente. Per questo chi si trova nel Regno è più grande di lui.

Le nostre attese impazienti

I dubbi del Battista nascono da un’idea che le attese messianiche avevano diffuso: il Messia si deve “vedere”, la sua venuta si deve imporre. In altre parole le attese messianiche anticipavano nella storia quella che doveva essere la fine della storia. In altre parole ancora, si dovrebbe dire che le attese messianiche erano profondamente impazienti. Giovanni condivide, almeno in parte, quelle impazienze e manda i suoi discepoli a interrogare Gesù. L’impazienza è, spesso il tarlo della nostra fede. “Io voglio vedere oggi il capretto pascolare insieme il leone”, dice Ivan Karamazov nel  grande capolavoro di Dostoevskij. È proprio la pretesa di anticipare all’oggi le cose ultime che rende difficile la nostra fede. Siamo dei Battista che chiedono spiegazioni ma, diversamente da lui, spesso non ci fidiamo. I segni che ci sono non bastano, vorremmo quelli definitivi.

Il mancato “ordine” della nostra vita

Giovanni non è una canna sbattuta dal vento. È l’uomo che ha pagato al disordine dei grandi l’ordine superiore della sua vita.

S. Agostino, ancora nel De civitate Dei, parlando dei pagani dice:

“Gli unici mali che i malvagi considerano mali sono quelli che non rendono malvagi gli uomini… li irrita di più l’avere una brutta villa che una brutta vita, quasi che il massimo bene di un uomo sia d’aver in buon ordine tutto, tranne se stesso”.

Non siamo gente “ordinata”, che ha scelto una direzione. Spesso siamo canne sbattute dal vento. Abbiamo tutto in ordine, le nostre case, il lavoro, la nostra economia. Non siamo in ordine noi stessi.