Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto.
Vedi Vangelo di Matteo 1, 18-24. Per leggere i testi liturgici di domenica 18 dicembre, quarta di Avvento, clicca qui.
Il mondo rinasce
Il brano racconta come fu generato Gesù Cristo. L’espressione del greco è “così è stata la nascita di Gesù cristo”. “Nascita” in greco è “genesi”. È lo stesso termine che si trova all’inizio del vangelo (“libro delle generazioni…”). Anche là si parlava di “genesi” di Gesù Cristo, cioè della genealogia del discendente di Davide. Dunque i due brani, quello della genealogia e quello del racconto della nascita di Gesù, sono in stretto rapporto. La genealogia ha “dimostrato” con la successione giuridica dei nomi che Gesù discende dal re Davide, come le antiche profezie annunciavano. Adesso questa stessa discendenza “avviene” nei fatti. E Giuseppe ne è il testimone accreditato. Il termine genesi rimanda poi al medesimo termine che dà il nome al primo libro della bibbia. Il che potrebbe significare che, per Matteo, in Gesù ha inizio una specie di ri-creazione, di nuova nascita del mondo.
Giuseppe, il “giusto”
E come avviene questa “ri-generazione” del mondo? Matteo racconta dunque che Giuseppe e Maria erano fidanzati. Il fidanzamento era in realtà un contratto di matrimonio, il quddushim, che aveva effetto giuridico. Per cui un’eventuale infedeltà durante quel periodo era considerata come un’infedeltà matrimoniale e un eventuale figlio dei due fidanzati era considerato legittimo come se i due fossero, appunto, già sposati. Per questo si comprende anche che il brano di vangelo dia il titolo di “sposo” e di “sposa” ai due protagonisti. Il matrimonio era però considerato civilmente incompleto se non interveniva la festa nuziale, (nissu’in), in seguito alla quale i due iniziavano a convivere. L’evento che viene raccontato da Matteo si situa quindi nel periodo che va dal fidanzamento alla festa nuziale e all’inizio della convivenza. Questo periodo, di solito, durava un anno. Matteo riassume, con estrema sintesi, e dice che Maria si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Anticipa, quindi, con una affermazione esplicita quanto dirà la rivelazione dell’angelo.
Di fronte all’evento che sta producendosi, Giuseppe si comporta da “giusto”, termine che nella Bibbia significa “docile a Dio”, in sintonia con la sua volontà, santo. Giuseppe è giusto sia perché applica dolcemente la legge, sia perché obbedisce a Dio appena questi gli rivela il senso di quello che sta accadendo. La rivelazione avviene in sogno. Il sogno, per l’uomo biblico, è lo strumento che Dio usa spesso per comunicare i suoi messaggi agli uomini.
Giuseppe “dà il nome” a Gesù
Giuseppe, in quello che sta avvenendo, non fa solo la comparsa: deve “dare il nome” che viene da Dio stesso e questo nome indica esattamente chi è Gesù e quale è la sua vocazione: “Gesù”, infatti, significa “Dio salva” e quindi è attraverso di lui che Dio salva il suo popolo. Inoltre, dando il nome a Gesù, Giuseppe lo inserisce nella discendenza del re Davide dalla quale deve provenire il Messia. Tutto questo avviene in conformità alla Parola. Matteo lo dice: Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele», che significa “Dio con noi”.
Tutti gli eventi prendono dunque il loro senso. Tutto quello che è avvenuto serve a chiarire che Dio è “Emmanuele”, “Dio con noi”. Giuseppe, il giusto, obbedisce.
La silenziosa obbedienza
Giuseppe, lungo tutto il racconto, appare come l’uomo del silenzio, anzi “patriarca del silenzio” (A. Corbin). Molte parole gli vengono rivolte. Lui non ne pronuncia nessuna. E tutta la sua vita sarà avvolta nel silenzio. Anche quando il piccolo Gesù resterà nel tempio di Gerusalemme e i suoi genitori, dopo tre giorni di angosciose ricerche, alla fine lo ritroveranno, sarà Maria a rivolgergli l’amabile rimprovero: “Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo”. Anche allora Giuseppe tace. E anche la sua morte è avvolta nel silenzio: i vangeli non ne fanno parola. Il “patriarca del silenzio” muore silenziosamente.
La nostra tendenza va quasi sempre in senso opposto: siamo propensi allo sproloquio, alle molte parole che, spesso, uccidono la Parola. Il silenzio invece è, dovrebbe essere, lo “spazio” necessario perché la Parola possa risuonare. Abbiamo perso il gusto del silenzio-ascolto. Ma, per arrivare a questo, bisognerebbe essere capaci di obbedire, come Giuseppe, che obbedisce perché ascolta e viceversa.