Natale tra i terremotati: “Attingiamo alla fede per superare le difficoltà. La gente ha bisogno di sentire che c’è qualcuno accanto”

Per Papa Francesco il prete che ha l’odore delle pecore è sempre “in uscita” alla ricerca di quelle in difficoltà. La notte del 24 agosto scorso monsignor Giovanni D’Ercole, Vescovo di Ascoli Piceno, istintivamente ha seguito alla lettera l’esortazione del Santo Padre. Infatti, il vescovo prima dell’alba del 24 agosto scorso è corso a Pescara del Tronto, la frazione di Arquata completamente rasa al suolo dal terremoto, avvenuto alle 3,36. «Posso dire che quando ho avvertito nella notte la scossa sono immediatamente sceso in piazza per vedere com’era la situazione della città. Ho controllato le chiese e notato i primi danni del sisma, le case erano in piedi, ma la gente molto spaventata era tutta fuori in strada. Quando mi è stato riferito che l’epicentro era stato ad Accumoli e ad Amatrice sono partito in macchina e sono giunto nel comune di Arquata. Mi ha aiutato non solo l’esperienza che avevo già vissuto a L’Aquila ma soprattutto la formazione che ho alle spalle. Faccio parte della Congregazione dell’Opera Don Orione, ricordo che San Luigi Orione, fondatore della Piccola Opera della Divina Provvidenza, ha avuto una presenza incisiva in due devastanti terremoti del secolo scorso: il terremoto di Messina del 1908 e quello della Marsica avvenuto nel 1915. Diciamo che Don Orione ci ha insegnato a essere tra la gente, a correre dove c’è bisogno. La frase di Papa Francesco è per noi pastori un grande incoraggiamento, ma se ripenso a quella notte del 24 agosto, quando sono corso ad Arquata e a Pescara del Tronto, non avevo in mente un ragionamento di questo genere. Sono andato spinto dal cuore, là dove si soffre, il pastore, non chiamato, deve essere sempre presente. Il pastore come i veri amici va dove c’è bisogno senza essere chiamato, e va invece dove c’è gioia solo se è chiamato» ricorda monsignor D’Ercole, nato nel 1947, attivissimo e instancabile sacerdote, giornalista e volto televisivo, conduttore di trasmissioni religiose con alle spalle quasi dieci anni di vita missionaria in Africa.
Prima di giungere alla guida della diocesi di Ascoli, è stato per quasi cinque anni vescovo ausiliare dell’Aquila, nominato da Benedetto XVI il 14 novembre 2009, ad appena sette mesi dal disastroso terremoto del 6 aprile 2009. Mons D’Ercole, avrebbe mai pensato di dover essere presente come vescovo a due terremoti così devastanti?
«Non potevo immaginare una cosa del genere, però avevo molto chiaro che avrei prestato la mia opera di pastore in una zona molto difficile. L’Aquila dopo il terremoto mostrava tutti i segni di una conflittualità interna, di una incertezza del futuro. La Provvidenza evidentemente aveva previsto tutto ciò, perché quando sono venuto ad Ascoli, l’esperienza aquilana mi è stata di grande utilità, mi aveva già abituato a quelle che sono le condizioni precarie, problematiche e di difficoltà diffusa che un terremoto e soprattutto un post terremoto comporta. Durante i primi giorni dopo il terremoto ho visto tante cose, lì accanto ai terremotati, ho sperimentato (all’alba del 24 agosto e il giorno dopo) la fatica dello scavare tra le macerie a mani nude cercando i superstiti, la fatica di recuperare le salme, il dolore di vedere i morti. Tutto ciò ha segnato profondamente la mia esistenza, come sacerdote, come vescovo e come uomo».
Durante i funerali delle vittime marchigiane del sisma ha detto: “E adesso, Signore, che si fa?”. Qual è la situazione attuale nelle zone colpite dal terremoto?
«La situazione attuale si è notevolmente complicata dopo le scosse del 26 ottobre ma soprattutto dopo quella fortissima di magnitudo 6,5 registrata alle 7.40 del 30 ottobre. È stato il terremoto più forte in Italia dal 1980. Ora immaginate un panorama di questo tipo: se sembrava che Arquata del Tronto avesse subito un bombardamento, dopo il 30 ottobre tutto è raso al suolo, non c’è nulla in piedi. Pescara del Tronto era stata già distrutta dal sisma del 24 agosto. Grave la situazione delle frazioni vicine ad Arquata. Se nel resto della diocesi il sisma del 24 agosto aveva provocato pochi danni, il sisma della fine di ottobre li ha moltiplicati. Esiste una situazione di grande disagio un po’ dappertutto. Ciò che domina è soprattutto la paura, l’incertezza, l’indecisione. “Cosa sarà di noi? Come fare?”, sono le domande che emergono tra la popolazione».
I danni al patrimonio artistico sono stati rilevanti?
«Quasi tutte le chiese sono state colpite dalla violenza del sisma, alcune sono crollate, altre sono fortemente lesionate e richiederanno interventi complessi. Vorrei dire che mai come in questo terremoto la furia distruttrice della terra ha preso di mira soprattutto le chiese. Non credo che si potranno ricostruire quelle che c’erano prima, credo che se riusciremo a ricostruirne almeno il 50% sarà già tanto».
Qual è il senso di aspettativa della gente per le prossime feste che quest’anno avranno comunque una valenza diversa?
«Il comune che fa riferimento ad Arquata è stato completamente svuotato, la tendopoli di Borgo ad Arquata del Tronto è stata rimossa, sono andati via tutti negli alberghi della costa. Abbiamo organizzato una presenza pastorale di sacerdoti incisiva. Tutti i giorni i sacerdoti stanno accanto alla popolazione. Abbiamo inoltre elaborato un programma per le feste natalizie che ci vede coinvolti con la popolazione in varie celebrazioni fino al 6 gennaio. La Chiesa è vicina in modo massiccio a tutti i terremotati. Tutti, bambini, giovani e anziani, sono andati via controvoglia e con una grande tristezza nell’anima, chiedono di ritornare quanto prima, nel giro di sei/sette mesi saranno costruiti dei piccoli centri dove ci saranno delle casette. La popolazione ha bisogno di un luogo di aggregazione dove sentirsi comunità. Ora in quei luoghi c’è il silenzio della morte, ma spero che tra poco possa essere cancellato dall’arrivo della primavera che simboleggia la speranza della rinascita».
Alla Madonna delle Grazie ha affidato “il sogno di una ricostruzione rapida e condivisa” e “soprattutto l’avventura di una comunità di persone, capaci di trasformare il dramma del terremoto in una risorsa di speranza e di consolazione per tutti”. Cosa intendeva?
«La Chiesa principale a Pescara del Tronto è dedicata alla Madonna delle Grazie, così come a Trisungo, frazione del comune di Arquata del Tronto e come in quasi tutti i paesi limitrofi. La devozione della popolazione nei confronti della Madonna delle Grazie è così forte e così costante che appare come una risorsa importante per ricostruire il futuro. Le tradizioni religiose dei borghi duramente colpiti dal sisma sono la base da cui ripartire. È ovvio che il futuro non potrà mai essere più come il passato, ma le tradizioni religiose potranno ridisegnare una presenza di popolo che nella fede trova il coraggio di superare tutte le difficoltà».
Quanto è importante per chi ha perso tutto sapere di non essere solo?
«Quando una persona ha perso tutto, i propri cari e la propria casa, sapere che c’è qualcuno accanto significa guardare al futuro con speranza. L’importante è che questa vicinanza spirituale e concreta, visibile e costante continui. Colgo l’occasione per ringraziare i tanti volontari che arrivano da tutta Italia e che prestano la loro opera attraverso varie attività. È stato commovente vedere in queste settimane la solidarietà venuta da ogni parte mostrando il volto più bello di un Paese che, proprio nei momenti di difficoltà, sa compiere autentici miracoli di generosità e di dedizione».