Questo pazzo inverno: temperature fino a 19 gradi. Clima e ambiente: è ora di cambiare rotta

“Non ci sono più le mezze stagioni”: una volta era il classico luogo comune, una chiacchiera “da ascensore”. Clima e temperature anomale, però, negli ultimi anni sono diventate una questione seria, che ne coinvolge a catena molte altre: l’inquinamento atmosferico, le polveri sottili, l’uso sconsiderato delle risorse della terra.
La situazione climatica di questo inverno strano offre già parecchi spunti di riflessione. Qualche dato: in Italia e a Bergamo pochi giorni fa, il 27 dicembre, sono state registrate temperature record: 19 gradi nell’ora più calda della giornata, 14 in più della media climatica provinciale del periodo.

Un’analisi condotta da Coldiretti Bergamo su dati CML ha mostrato che questo fronte caldo ha investito quasi tutta la Lombardia. C’erano 17 gradi a Milano, 16,1 a Varese, 17,2 a Monza, 16,2 a Lecco e a Como, 11,3 a Brescia. Si sono registrate invece temperature inferiori ai 10 gradi a Lodi (9,1 gradi), a Cremona 6,3 e a Pavia 7,3. Le città più fredde sono state Mantova (2,7 gradi) e Sondrio (1,6 gradi).

Secondo l’analisi di Coldiretti questa “bolla di  calore” è pericolosa per le piante che “ingannate” dalle temperature miti hanno ripreso la vita vegetativa, trovandosi impreparate ad affrontare eventuali gelate (peraltro previste in questi giorni) e nevicate improvvise.

Al di là del momento, però, il 2016 è stato l’anno più caldo di sempre a livello mondiale: la temperatura media registrata nei primi nove mesi sulla superficie della terra e degli oceani è stata addirittura superiore di 0,89 gradi celsius rispetto alla media del ventesimo secolo. Preoccupano in particolare i cambiamenti rapidi e improvvisi e gli eventi “estremi”, come le cosiddette “bombe d’acqua” e le grandinate anche fuori stagione. Pesanti gli effetti sull’agricoltura che negli ultimi dieci anni ha subito danni per 14 miliardi di euro.

Gli effetti ci sono, sono concreti e vicini, sulle cause, però, non c’è accordo e non c’è, soprattutto, una volontà forte e congiunta di prendere delle contromisure che unisca tutti i Paesi del mondo: troppo forti gli interessi economici, gli effetti della crisi, le necessità di crescita e riscatto dei Paesi più fragili.

La recente Conferenza sul clima di Marrakech si è conclusa con qualche punto a favore: esiste un quaderno di regole per realizzare gli accordi sottoscritti a Parigi (firmati da 111 Paesi) per la riduzione delle emissioni e il contenimento del riscaldamento globale. Alcuni Paesi come Canada, Germania e Messico hanno messo in campo strategie ecologiche ambiziose. A livello mondiale è stato deciso un incremento dei fondi stanziati per le tecnologie green, ma sarà realizzato davvero? I contributi promessi ai Paesi più vulnerabili per l’adattamento climatico sono rimasti finora in gran parte sulla Carta.

Michael Renner, senior researcher al Worldwatch Institute, di recente al Forum internazionale per l’informazione ambientale, organizzato da Greenaccord, ha evidenziato come “molti indicatori di inquinamento e consumo di risorse continuano a crescere in modo preoccupante nonostante gli ultimi anni di crisi economica. Qualche esempio: l’impatto della pesca ha raggiunto livelli insostenibili tanto che appena il 10% delle zone ittiche ha pesce sufficiente; la concentrazione di rifiuti plastici in mare sta aumentando tanto che entro il 2050 ci sarà più plastica che pesci in acqua; il livello di estrazione di minerali non si è mai arrestata e così pure la produzione energetica”. “Questi – ha aggiunto Renner – sono tutti fenomeni che provocano una destabilizzazione del clima e mostrano come nessun traguardo ambizioso sia stato ancora raggiunto. Le politiche attuali stanno solo facendo diminuire la crescita delle emissioni nocive ma non stiamo invertendo la rotta”.

Nessun patto sul clima potrà essere efficace se non sarà supportato da un piano di investimenti messo in campo da tutti gli attori internazionali.
“La Cop 21 di Parigi è figlia di una grande azione di diplomazia ambientale fondata su una base scientifica molto solida – ha spiegato Michele Candotti, dell’Agenzia Onu per l’ambiente (Unep) -. Un accordo che ha messo in rete una serie di obiettivi di sviluppo sostenibile senza mettere in discussione le sovranità nazionali, che al contrario sono state responsabilizzate”. Il vero gap che deve essere colmato dopo Parigi, ha osservato il rappresentante di Unep, “è però la mancanza di flussi finanziari adeguati per la realizzazione di politiche sostenibili” e da questo punto di vista “mi auguro che l’Italia, che il prossimo anno prenderà la presidenza del G7, potrà svolgere un ruolo da protagonista”.
Un altro tema carente nel dibattito ambientale è certamente quello legato alle politiche sostenibili legate alla pianificazione urbana. “Non bisogna dimenticare – ha ricordato il rappresentante dell’Agenzia dell’Onu per l’ambiente – che il 50% della popolazione mondiale vive in insediamenti urbani, il 75% delle emissioni globali viene da questi insediamenti, l’80% dell’energia viene consumato dalle città”. “Non possiamo permetterci più distrazione – ha aggiunto Candotti – occorre mantenere un monitoraggio stretto e ripetuto dei dati scientifici sul clima per conservare la pressione su chi deve decidere e offrire la possibilità a Stati e governi di fare un report sul gap tra quanto si sta facendo e quello che è necessario”.

Secondo esperti come Andrea Masullo, economista e direttore scientifico di Greenaccord, In Italia la situazione è seria: “Se gli accordi di Parigi sul clima non produrranno risultati concreti, l’Italia, così come l’intera area del Mediterraneo, potrebbe essere una delle aree del Pianeta a pagare il conto più salato in termini di innalzamento delle temperature globali, con un incremento di 8 gradi centigradi”.
Bene ricordare che i cambiamenti partono, è vero, dagli accordi internazionali ma si realizzano anche nella vita quotidiana, nello stile di vita individuale: ne parliamo anche in questo dossier.