Rifiuti elettronici, a rischio salute e ambiente. Serve un’etica globale che orienti l’economia e le scelte

“Si producono centinaia di milioni di tonnellate di rifiuti l’anno, molti dei quali non biodegradabili: rifiuti domestici e commerciali, detriti di demolizioni, rifiuti clinici, elettronici o industriali, rifiuti altamente tossici e radioattivi. La terra, nostra casa, sembra trasformarsi sempre più in un immenso deposito di immondizia”. A lanciare l’allarme è Papa Francesco, nell’enciclica “Laudato si’”, collegando questo tipo di inquinamento alla “cultura dello scarto, che colpisce tanto gli esseri umani esclusi quanto le cose che si trasformano velocemente in spazzatura”. Secondo il Pontefice, “il sistema industriale, alla fine del ciclo di produzione e di consumo, non ha sviluppato la capacità di assorbire e riutilizzare rifiuti e scorie”. Parole che richiamano ad una responsabilità collettiva e individuale che riguarda tutti noi, unica famiglia in un’unica casa comune, e quanto mai attuali alla luce della recente vicenda Samsung. Il colosso coreano ha dovuto infatti sospendere temporaneamente la produzione del Galaxy Note 7, dopo alcuni episodi di surriscaldamento dei dispositivi fino ad incendiarsi, e ne ha chiesto la restituzione. Lo smaltimento di questi due milioni e mezzo di smartphone, pur costituendone una minima parte, ripropone la questione Raee (Rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche), in inglese e-waste.

Secondo “Waste Crimes,” rapporto del Programma delle Nazioni unite per l’ambiente (Unep),nel 2017 i rifiuti elettronici da computer e smartphone saranno 50 milioni di tonnellate, il 20% in più rispetto al 2015 quando 41 milioni di tonnellate di e-waste sono stati portati nei Paesi del terzo mondo utilizzati come discariche globali. L’India, in particolare, fra produzione locale e trasporto illegale assorbe il 90% della e-waste mondiale, ma a contenderle il triste “primato” c’è il Ghana, mentre i maggiori “esportatori” europei sono Regno unito e Germania.

E’ davvero allarme ambientale? Come affrontare la questione? Abbiamo girato le domande ad Andrea Masullo, presidente del comitato scientifico di Greenaccord e curatore del blog Rinnovabili.it

Ogni dispositivo elettronico contiene “composti che, una volta diventati rifiuti rappresentano un serio rischio per salute e ambiente”, spiega, mentre il loro smaltimento in sicurezza ha costi molto elevati. Il mercurio, ad esempio, “è particolarmente pericoloso per la salute perché si accumula nelle catene alimentari”; ma ci sono anche piombo, arsenico, bromo e ritardanti di fiamma “che spesso finiscono nei Paesi poveri o in fondo agli oceani”.
“Noi italiani – prosegue – conosciamo bene il caso del traffico di rifiuti tossici verso la Somalia che in cambio del loro seppellimento criminale a costi economici bassissimi e a costi umani e ambientali altissimi, riceveva armi”. Proprio per avere indagato su questo traffico, Ilaria Alpi e Milos Rovatin hanno pagato con la vita. I dispositivi elettronici contengono però anche piccole quantità di materie preziose come oro, platino, rame e titanio e alcune terre rare: questo “garantisce una crescente attenzione per il loro recupero e riciclo”. Pertanto, secondo il magazine Usa “The Atlantic”, piuttosto che utilizzare i Paesi in via di sviluppo come discariche, i produttori potrebbero offrire loro assistenza per la creazione in loco di centri sicuri di smaltimento e riciclaggio.

La questione chiama in causa i nostri stili di vita, la “cultura dello scarto” che ci spinge a sostituire i nostri dispositivi ogni due/tre anni senza preoccuparci troppo delle conseguenze?
“Come dice Papa Francesco, l’ecologia naturale e l’ecologia umana sono due facce della stessa medaglia.
L’ideologia dello scarto scarta cose e persone, inquina l’ambiente e l’animo umano. Il fascino delle microtecnologie alimenta fortemente il consumismo; la rincorsa delle grandi case produttrici verso nuovi modelli di smartphone le porta a competere anche su innovazioni del tutto inutili nell’uso quotidiano; di norma utilizziamo meno di un decimo delle funzioni e delle App che abbiamo sul nostro cellulare”. Ma questa “fiera dell’inutilità” ha un prezzo che va oltre la nostra salute e l’ambiente; per Masullo, invita “a pseudo relazioni virtuali” che si risolvono in “individualismo solitario; quel consumismo che distrugge sia le reti ecologiche sia le reti sociali”.

“The Atlantic” parla anche di responsabilità delle compagnie produttrici, colpevoli di “obsolescenza programmata” dei loro prodotti… “Accelerandone la rottamazione – risponde – le aziende non fanno nient’altro che coltivare il loro terreno. E’ il sistema economico che non dovrebbe essere orientato esclusivamente al consumo fine a se stesso, senza distinguere l’utile dall’inutile, se non addirittura da ciò che è dannoso”. Per l’esperto, “l’economia contemporanea ha smesso di essere un’economia del benessere ed è diventata un’economia del danno; basta guardare la rapidissima crescita dei profitti delle imprese di smaltimento e di disinquinamento, e dei costi sanitari per patologie riconducibili all’inquinamento”.

Per evitare che la situazione sfugga di mano
“serve innanzitutto un’etica globale, che orienti l’economia verso il benessere di tutti, e un’etica individuale che orienti le scelte quotidiane delle persone verso ciò che ha veramente valore, verso un senso di responsabilità pieno. La degenerazione consumista del capitalismo – conclude Masullo – ha invece smantellato ogni riferimento etico, ha relegato alla sfera privata le religioni, si è sbarazzata delle ideologie per avere mani libere per plasmare menti e desideri verso i suoi obiettivi di profitto”.