Giornata del migrante e del rifugiato a Romano. A tavola insieme, per imparare a mettersi «nei panni degli altri»

Diverse le iniziative della Diocesi di Bergamo in occasione della Giornata mondiale del migrante e del rifugiato, organizzate quest’anno nel vicariato di Ghisalba – Romano. Tra queste, la “tavola condivisa”, svoltasi domenica scorsa a Romano di Lombardia: la condivisione del pranzo in famiglia con i cittadini richiedenti protezione internazionale ospitati al Cas ex albergo La Rocca, gestito dalla Cooperativa Ruah, con successivo pomeriggio di preghiera e festa presso l’oratorio S. Filippo Neri. 27 le famiglie che hanno aderito all’iniziativa, incluso il gruppo giovani dell’oratorio che ha ospitato sei ragazzi, per un totale di 60 richiedenti asilo del Cas. L’esperienza è piaciuta molto sia ai ragazzi che vi hanno preso parte, sia alle famiglie che li hanno ospitati. Laura e Mario hanno ospitato Jiton Sorkar, bengalese: «La nostra famiglia è sempre stata attenta al tema dell’immigrazione – racconta Laura -. Quando la parrocchia ci ha illustrato questa possibilità, ne ho parlato con mio marito Mario e con i nostri figli Valentina e Francesco e abbiamo deciso di prendere parte a questa esperienza. Il fatto di avere dei ragazzi in casa, più o meno dell’età di Jiton, ci ha aiutato molto: hanno fatto da veicolo in quanto Jiton parla inglese, poco italiano. È stata una bella esperienza: d’ora in poi quando sentiremo parlare dei barconi non sarà la stessa cosa. Lui ci ha raccontato la propria storia: potrebbe essere mio figlio, ci ha fatto toccare con mano e più da vicino queste situazioni. Ci ha detto che ha viaggiato su un barcone con altre 400 persone e che sono stati salvati dagli italiani mentre erano in mezzo al mare. Per pranzo abbiamo preparato risotto e come secondo polenta e coniglio. Jiton era molto diffidente perché non conosceva il coniglio, mio figlio gli ha proposto di mangiare allora la polenta con un po’ di gorgonzola, ma quest’ultimo non gli piaceva e alla fine ha mangiato polenta e zucchero. Questa cosa mi ha fatto riflettere: quando pensiamo all’accoglienza, crediamo di proporre cosa è meglio per noi, ma dobbiamo invece pensare cosa è meglio per chi riceve. Se ci ricapiterà di prendere ancora parte alla tavola condivisa, magari preparerei del riso bollito con verdure e formaggi. Ad ogni modo è andato tutto bene. Jiton prima di andare ha voluto fare una foto con noi e ci ha fatto capire che è stato contento. Come esperienza a livello di famiglia la consiglierei e la rifarei: un conto è sentire quello che riportano i media, un altro viverlo. Nessuno è esente da queste cose: bisogna mettersi nei panni degli altri».
Anche per Laura Rapizza, che ha ospitato Dhali Md Rafik e Koehler Miah, bengalesi, è stata un’esperienza da ripetere e da promuovere anche in diversi momenti dell’anno: «Attraverso i media sono solo numeri e statistiche, ma in realtà sono persone, con le loro esperienze, i loro progetti e i loro vissuti spesso non semplici. E’ stata un’esperienza molto positiva. la prima cosa che abbiamo fatto è stata prendere un atlante per farci indicare da dove provenivano di preciso; ci hanno parlato poi del viaggio affrontato, della famiglia, di cosa vorrebbero fare. Abbiamo parlato un mix tra italiano, inglese e gesti. Dopo il pranzo insieme abbiamo fatto una passeggiata e siamo andati in oratorio per il momento di festa condiviso. Credo che a volte si creino dei muri nelle proprie menti e che la reciproca conoscenza sia più facile di ciò che si pensa. Attraverso la conoscenza reciproca si creano quei ponti che dovrebbero costruirsi nella società attuale, sempre più multietnica. Le paure e i timori vanno destrutturati. Bisognerebbe allargare alla cittadinanza esperienze di questo tipo per abbattere i muri della diffidenza e della paura». La famiglia di Francesco Puccianti ha invece ospitato tre ragazzi senegalesi: Samuel Ugbo, Esewi Imasuen e Best Ojieboh. «È stata un’esperienza molto carina – racconta Francesco -: loro si sono aperti ed ambientati molto facilmente. Conoscevo già uno di loro in quanto partecipa al gruppo Rainbowjem, un laboratorio musicale organizzato con il patrocinio del Comune a cui anche io prendo parte. Abbiamo cercato di farli sentire in famiglia, cucinando qualcosa di semplice: un piatto di pasta con tonno olive e pollo arrosto con patate. Non ci hanno raccontato molto della loro storia, hanno solamente detto che non hanno dei parenti in Europa, e non abbiamo voluto insistere: ci interessava stare insieme. È come se fosse stato un pranzo tra amici, che rifarei. Hanno giocato molto con nostro figlio e con il cane. È stato bello anche confrontarsi sulle diverse cucine. All’una siamo andati via in quanto dovevamo suonare, altrimenti saremmo rimasti ancora insieme volentieri».

 

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