Il popolo, la sinistra di D’Alema e la nuova costola

La feroce intervista di D’Alema contro Renzi

Nella feroce intervista che D’Alema ha rilasciato al Corriere della Sera contro Renzi, mentre fa notare che difficilmente un’alleanza tra PD e Forza Italia potrebbe avere la maggioranza alle prossime elezioni, sottolinea il successo delle forze populiste e invita ad avere “una maggiore sintonia con il popolo”. Traduzione dal “dalemese”: il M5S ridiventa un interlocutore. L’idea di D’Alema è che l’insorgenza populista sia dovuta all’incapacità della sinistra di collegarsi “sentimentalmente” con il popolo. Se storicamente e “per definizione”, la sinistra rappresenta il popolo, è evidente che il populismo nasce per un deficit di rappresentanza della sinistra. Insomma: così come la Lega, anche il M5S diventa una “costola della sinistra”.

Il governo con Grillo

D’Alema non è il solo a pensarla così. Già Bersani nel 2013 – ma è una convinzione che ha espresso anche recentemente – immaginò di poter formare il governo con Grillo, dopo il rituale battesimo nel flusso di elettroni dello streaming pentastellato. Pensieri analoghi corrono a sinistra della sinistra PD. Poiché una parte dell’elettorato e dei quadri del M5S esprime orientamenti di sinistra radicale – l’ultima, clamorosa, è la richiesta di uscire dalla Nato – si tratterebbe solo di richiamare un elettorato che si ritiene naturaliter di sinistra e che sarebbe momentaneamente in fuga, sempre perché la sinistra, cioè Renzi, avrebbe tradito la propria origine.

L’ambiguo concetto di “popolo”

Questo punto di vista si fonda su una storia intellettuale, della quale, tuttavia, proprio l’avvento dei movimenti populisti segnala la consunzione finale. La loro nascita non è la causa, ma la conseguenza. In realtà, alla base delle pretese della sinistra sta un concetto ambiguo: quello di popolo, appunto. Nella concezione classica di Marx, il popolo è il proletariato, la cui ricchezza sono le braccia, che vende ai proprietari dei mezzi di produzione in cambio di un salario. Se i proprietari di braccia, che sono la classe dei produttori, si mettono insieme, sotto la guida di un partito, che inoculi dall’esterno la coscienza di classe – sarà Lenin a teorizzarlo e a praticarlo con forza – essi saranno in grado di impadronirsi direttamente dei mezzi di produzione, oggi di proprietà della classe dei capitalisti e di rovesciare il sistema capitalistico. Naturalmente non basta la volontà soggettiva dei proletari; essa si combina con le contraddizioni costitutive del modo di produzione capitalistico, destinato a esplodere a causa della caduta tendenziale del saggio di profitto. Insomma: l’aereo finisce il carburante e precipita. Attorno al proletariato si possono disporre come alleati altri gruppi sociali: dai contadini, agli impiegati di livello più basso, ai sottoproletari, agli esclusi in generale. Il proletariato è diventato nel linguaggio moderno “la classe operaia”. Ad essa sono stati aggiunti dalla teoria politica marxista “i ceti medi” socialmente assai compositi e variegati. I partiti di sinistra – il PSI dal 1892, il PCI dal 1921 – si sono storicamente disputati la rappresentanza di questo blocco sociale. Questo schema teorico e politico è saltato per due ragioni incrociate, una sociale e una culturale. La classe operaia è divenuta minoranza, si è diluita in un “mondo del lavoro”. Secondo l’ISTAT e l’INPS, su un totale di 22,7 milioni di occupati italiani, sono 8 milioni gli operai e assimilati, poco più di 5 milioni sono lavoratori autonomi (partite IVA, professionisti, consulenti), il resto è pubblico. Gli elettori, alla Camera, sono 47 milioni, al Senato 43 milioni.

Si è rotto il nesso tra sinistra e mondo del lavoro

Tenere insieme questo universo del lavoro con la vecchia teoria marxiana del primato sociale e culturale del proletariato è stato da molto tempo riconosciuto impossibile anche dalla sinistra più classista. Ma il passaggio alla “giustizia sociale” e all’“eguaglianza” è risultato ancor meno unificante. Né il ricorso massiccio ai “diritti” borghesi ha potuto ricostruire la vecchia egemonia. In realtà, si è rotto da tempo e definitivamente il nesso ideologico tra sinistra e mondo del lavoro. Questo ha significato la fine del PCI. Così si può essere operaio e votare Lega o M5S. Si può essere pensionato e votare a destra. Il che è come dire che la sinistra storica, nata tra fine ‘800 e inizi del ‘900 – “la Ditta” – ha chiuso i battenti. Come dimostrano le indagini socio-elettorali, nelle motivazioni di voto si intrecciano interessi contingenti e visioni del mondo, rabbie e risentimenti. Nessun partito può rivendicare un elettorato come proprio per diritto storico. Pertanto, il corteggiamento del M5S è soltanto una povera tattica vetero-togliattiana di una sinistra, che ha perso le proprie ragioni e non riesce a darsene di nuove.