Latino e greco lingue morte? Non proprio

Due recenti bestseller

Latino e greco lingue morte? Non si direbbe, stando almeno alle statistiche sui saggi più venduti nell’ultima settimana: La lingua geniale di Andrea Marcolongo, dedicato al greco e più volte ristampato in pochi mesi, è al primo posto, e Viva il latino, di Nicola Gardini, segue al secondo. Sarebbe sbagliato lasciarsi andare a eccessivo entusiasmo: latino e greco vincono all’interno della saggistica, cioè di un settore di nicchia, che si rivolge a un pubblico culturalmente già addestrato. È però consolante che i classici di duemila anni fa continuino a rappresentare un riferimento attuale più di titoli che si presentano come profetici ma suonano come già sentiti.
Il dato, per quanto simbolico, sa comunque dire molto della voglia di cultura vera che ancora sopravvive, e va nella stessa direzione di dati altrettanto parziali ma eloquenti, come il fatto che a Milano il numero di abbonati ai teatri superi quello degli abbonati allo stadio, o che nel 2016 in Italia le visite ai musei siano aumentate, o che nella classifica generale dei libri più venduti, fra tanta “letteratura di consumo”, figuri l’opera di Alessandro D’Avenia dedicata a Leopardi.

Il latino, il greco e la conoscenza del nostro passato

L’interesse riscosso da greco e latino sembra zittire le critiche sempre più agguerrite e sempre più banali che periodicamente si levano contro l’utilità, l’attualità e la validità degli studi classici: la statistica serve a ribadire l’ovvio, e cioè che le due lingue classiche sono un veicolo privilegiato per accedere alla civiltà antica, la quale, a sua volta, continua a offrire ai moderni la più compiuta esperienza di passato che si possa desiderare. E la conoscenza del passato è il presupposto fondamentale di ogni cultura che aspiri a essere tale, e che non si accontenti di essere mentalità passeggera, moda effimera, tecnica esposta ai tempi e ai gusti. L’antichità è, tra l’altro, un passato mai passato, visto che per millenni ha continuato a costituire l’ossatura dell’istruzione e del pensiero occidentale: non c’è filosofia o ideologia politica, tradizione o rivoluzione, che non abbia guardato in qualche modo alla civiltà antica.

Un parere non banale

La battaglia contro i classici è ormai in atto da tempo, ma l’amarezza che provoca la loro apparente sconfitta nell’opinione corrente viene sanata da alcuni consolanti dati e da alcune consolanti parole, come quelle pronunciate nel 1955 da uno dei massimi studiosi dell’Umanesimo, Paul Oskar Kristeller, che conservano intatta la loro validità:

Stiamo vivendo in un tempo in cui gli studi classici sono diventati uno strumento altamente specializzato nelle mani di pochi competenti, che sembrano aver perso sempre più contatto con i non specialisti e con la gente in generale. Vi sono molti pedagogisti e molti importanti settori dell’opinione pubblica che sembrano essere completamente ignari dell’esistenza, e ancor più dell’importanza, degli studi umanistici. La situazione è tale che molti studiosi responsabili sono a buon diritto preoccupati. Tuttavia sono incline a sperare e ad aspettarmi che l’interesse verso i classici e verso la cultura storica possa proseguire ed anche riprendere vita, poiché sono fermamente convinto del loro merito intrinseco, e credo che esso non potrà mancare di imporsi nuovamente: i classici, infatti, non solo hanno un fascino diretto per il nostro tempo, ma contengono anche molti bandoli per la comprensione del pensiero medievale e moderno, il quale a sua volta contiene le immediate radici del nostro mondo contemporaneo.