“Beati i poveri”. Beatitudini evangeliche e moderne povertà

Foto: Il lago di Tiberiade visto dal monte delle beatitudini

In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:
«Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli (Vedi Vangelo di Matteo 5, 1-12).

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Il “discorso della montagna”

Matteo riunisce insieme alcune parole importanti pronunciate da Gesù, nel primo dei cinque grandi discorsi, con i quali scandisce tutto il suo vangelo. È il cosiddetto “discorso della montagna”. È chiamato così perché all’inizio Matteo racconta che vedendo le folle, Gesù salì sul monte. Perché questo particolare, apparentemente insignificante? Matteo è un ebreo e ricorda Mosè che, sulla montagna del Sinai, stette faccia a faccia con Dio e ricevette da lui la Legge. Nell’ottica di Matteo, Gesù è il nuovo Mosè. Anche lui sale sulla montagna, anche lui consegna ai suoi discepoli la legge, la nuova legge. Anche per questo Matteo dice che Gesù si siede. Nel mondo di Gesù, quando il maestro insegna, si siede. Anche il verbo “li ammaestrava” designa l’attività del rabbino, del maestro. Come è caratteristica l’espressione “aprì la sua bocca”, che l’evangelista riserva sempre a insegnamenti particolarmente importanti. Bisogna oltretutto ricordare che il Gesù del primo vangelo è soprattutto un Gesù che insegna. Anche per questo i discorsi sono importanti.

Chi sono i poveri e perché sono beati

Gesù dunque inizia il suo discorso con una frase perentoria: Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Ma chi sono i poveri e perché sono beati? In Matteo è “povero in spirito” è colui che ha un atteggiamento interiore di apertura totale a Dio. Per questo il termine “povero” è quello che riassume tutte le caratteristiche dell’autentico uomo religioso. Il povero apre a Dio nell’afflizione (“beati gli afflitti”), è spinto verso Dio dalla sua fame e sete di santità (“beati quelli che hanno fame e sete di giustizia”), in lui confida quando è perseguitato (“beati i perseguitati per causa della giustizia”), è mite, misericordioso, semplice e schietto (“beati i puri di cuore”), è operatore di pace… La beatitudine dei “poveri in spirito” riassume tutte le altre.

Ma perché i poveri in spirito sono beati? Lo abbiamo ascoltato nelle domeniche passate. Gesù ha detto che Dio si è messo a fare il re. E lo fa attraverso Gesù stesso che manifesta e comunica agli uomini la incommensurabile bontà di Dio. Ma se Dio si è messo a fare il re, tutto cambia, cambia il punto di vista sul mondo e sulla vita degli uomini. In particolare Dio, che è re buono, difenderà i poveri: l’orfano, la vedova, lo straniero. Quindi se Dio ha inaugurato il suo regno, davvero i poveri sono felici. Loro che sono i dimenticati da tutti diventano i prediletti.

Quindi non si dice che i poveri sono più buoni, ma che è buono Dio con loro: il messaggio è ancora più forte e più rivoluzionario. E non si dice che “andranno in paradiso” in un indefinito futuro, ma che già adesso Dio si interessa a loro, li difende, li ama, proprio perché sono poveri. In qualche modo, per loro, il paradiso è già incominciato perché lui, il Dio misericordioso, gli fa compagnia.

La Chiesa “popolo delle beatitudini”. Anche noi poveri

All’inizio del vangelo Gesù vede le folle, sale sul monte e parla ai discepoli. I discepoli, dunque, sono “mediatori” fra la “folla” e Gesù. La Chiesa è stata definita “popolo delle beatitudini”. Si deve pensare dunque che il nostro difficilissimo e straordinario compito è quello di far nascere, anche in mezzo alla povertà e alla persecuzione, la speranza di un amore che non delude mai. Siamo i discepoli che, avendo ascoltato la Parola del maestro, cercano di suscitare l’interesse per lui anche nella folla anonima degli ascoltatori. E succede talvolta che, nella folla, nascono inaspettatamente dei discepoli.

A quel punto ci accorgiamo che, vicini a  tanti poveri di ogni tipo, siamo anche noi poveri. Oggi anche quando non si è economicamente poveri, la paura della vita, l’inanità dei nostri sforzi, la solitudine, la morte ci rendono comunque poveri. Anzi, spesso, il nostro stesso benessere ci rende ancora più esposti e più fragili. Le beatitudini mi dicono che Dio mi è vicino in queste povertà. La mia unica ricchezza è quella di aprirmi a lui e di abbandonarmi alla sua inattesa, misericordiosa bontà.