I parroci che si devono dimettere. Un parere: non si devono dimettere

A mio parere (sostenuto anche quando ebbi l’onore di essere “padre sinodale” nel 37° Sinodo della nostra Diocesi), il problema segnalato più volte e da diversi punti di vista dal nostro settimanale  a riguardo dello stuolo di parroci che in base al Sinodo quest’anno dovrebbero dare le dimissioni, dimostra come quella decisione sia stata a dir poco improvvida.

Ma soprattutto, secondo me, essa contraddice l’affermazione posta a fondamento di tutta la questione nel can. 522 del Codice di Diritto Canonico del 1983, che afferma: «È opportuno che il parroco goda di stabilità».

Lo scopo del CDC era evidentemente quello di abolire l’inamovibilità dei parroci stabilita nel precedente Codice del 1917 (can. 454) in base al Concilio di Trento che imponeva a Vescovi e Parroci il dovere della residenza stabile. Parrocchie e Diocesi evidentemente guadagnarono molto dal risiedere stabile di Parroci e Vescovi nella loro sedi. Nella spiritualità cattolica vennero in molta considerazione le figure dello Sposo e del Pastore attribuite ai Parroci e ai Vescovi con il richiamo per loro al dovere della fedeltà e della vigilanza, e per i fedeli al dovere della docilità e dell’obbedienza, condizione “sine qua non”, per gli uni e per gli altri, della fecondità della vita della Chiesa.

L’esperienza però, col passare del tempo, mise in evidenza che l’inamovibilità finiva spesso per tradursi in immobilità, stagnazione, ripetitività, e non poche volte portava le situazioni ai limiti dell’insopportabilità. Ecco perciò l’apertura del nuovo Codice di Diritto Canonico del 1983, che, pur riafferma il valore della stabilità, dà la possibilità di una maggiore rotazione nel governo delle Parrocchie e delle Diocesi.

Quello che poi è seguito in base alla seconda parte del can. 522 (“Il Vescovo diocesano può nominarlo a tempo determinato solamente se ciò fu ammesso per decreto dalla conferenza dei Vescovi”) è sotto gli occhi di tutti. È disattesa completamente la prima parte di quel canone dove si dice che “È opportuno che il parroco goda di stabilità”, sono private di valore le figure dello Sposo e del Pastore proposte dalla spiritualità, e, quel che più deve far pensare, le parrocchie sono ridotte a puri scali di passaggio.

Di conseguenza, il parroco avrà sempre chiara nel cuore la sensazione della sua provvisorietà e i fedeli finiranno per vederlo come l’incaricato di turno. Faccio notare poi che, in base ad un suggerimento di saggezza pastorale, un parroco che arriva nuovo in una parrocchia è bene che almeno per un anno studi la situazione in cui è venuto a trovarsi; analogo consiglio prima della fine del mandato: per non creare problemi al successore, è bene che si astenga da iniziative importanti. In questo modo, a ogni cambio di parroco (cioè ogni nove anni) nella pastorale di una parrocchie viene a crearsi un buco di almeno due anni, in cui i due parroci che si susseguono è bene che stiano tranquilli.

Ma, se non ho letto male, le decisioni della Conferenza Episcopale Lombarda e quelle del nostro Sinodo diocesano, per quanto precise, non sono tassative e lasciano al Vescovo una qualche possibilità di manovra. Nel mio piccolo perciò, dopo quanto sopra, mi permetto di suggerire a Mons. Beschi di non perdere il sonno per i diciotto parroci che scadono quest’anno e permetta che partano solo quelli che desiderano cambiare; gli altri li lasci restare per il bene loro e delle parrocchie.