Papa Francesco: «Sperare vuol dire imparare a vivere nell’attesa, come una donna incinta»

«Sperare vuol dire imparare a vivere nell’attesa. Noi cristiani siamo donne e uomini di speranza». Lo ha detto, a braccio, il Papa, che nella catechesi di oggi – pronunciata in Aula Paolo VI davanti a 6mila persone – ha parlato di speranza mettendone in luce «la portata straordinaria che questa virtù viene ad assumere nel Nuovo Testamento, quando incontra la novità rappresentata da Gesù Cristo e dall’evento pasquale». «È quello che emerge in modo chiaro fin dal primo testo che è stato scritto, vale a dire la prima lettera di San Paolo ai Tessalonicesi», ha fatto notare Francesco: «Nel passo che abbiamo ascoltato, si può percepire tutta la freschezza e la bellezza del primo annuncio cristiano». «Quella di Tessalonica – ha spiegato il Papa – è una comunità giovane, fondata da poco; eppure, nonostante le difficoltà e le tante prove, è radicata nella fede e celebra con entusiasmo e con gioia la risurrezione del Signore Gesù. L’apostolo allora si rallegra di cuore con tutti, in quanto coloro che rinascono nella Pasqua diventano davvero ‘figli della luce e figli del giorno’ in forza della piena comunione con Cristo».

«Tutti abbiamo un po’ di paura della morte”. Lo ha detto, a braccio, il Papa, che sempre fuori testo, durante la catechesi dell’udienza generale di oggi, ha citato le parole di «un vecchietto, un anziano bravo, che diceva: ‘Io non ho paura della morte, ho un po’ paura di vederla venire’». Il riferimento è la prima lettera ai Tessalonicesi: “Quando Paolo le scrive, la comunità di Tessalonica è appena stata fondata, e solo pochi anni la separano dalla Pasqua di Cristo”, ha fatto notare Francesco. Per questo, “l’apostolo cerca di far comprendere tutti gli effetti e le conseguenze che questo evento unico e decisivo comporta per la storia e per la vita di ciascuno». In particolare, ha osservato il Papa, «la difficoltà della comunità non era tanto di riconoscere la risurrezione di Gesù – tutti ci credevano – ma di credere nella risurrezione dei morti”. «Gesù è risorto, ma i morti… avevano un po’ di difficoltà”, ha aggiunto a braccio, per spiegare come “questa lettera si rivela quanto mai attuale». «Ogni volta che ci troviamo di fronte alla nostra morte, o a quella di una persona cara, sentiamo che la nostra fede viene messa alla prova», ha affermato Francesco: «Emergono tutti i nostri dubbi, tutta la nostra fragilità, e ci chiediamo: ‘Davvero ci sarà la vita dopo la morte…? Potrò ancora vedere e riabbracciare le persone che ho amato…?’». “Questa domanda me l’ha fatta una signora pochi giorni fa in un’udienza: incontrerò i miei? Un dubbio», la testimonianza del Papa, secondo il quale “anche noi, nel contesto attuale, abbiamo bisogno di ritornare alla radice e alle fondamenta della nostra fede, così da prendere coscienza di quanto Dio ha operato per noi in Cristo Gesù. E cosa significa la nostra morte».

«Avere la certezza che io sono in cammino verso qualcosa che è, non che io voglio che sia». È la definizione di speranza, offerta a braccio dal Papa durante l’udienza di oggi, a cui sono presenti 6 mila fedeli. «Paolo, di fronte ai timori e alle perplessità della comunità, invita a tenere salda sul capo come un elmo, soprattutto nelle prove e nei momenti più difficili della nostra vita, ‘la speranza della salvezza’», le parole di Francesco: «È un elmo. Ecco cos’è la speranza cristiana». «Quando si parla di speranza – ha ammonito Francesco – possiamo essere portati ad intenderla secondo l’accezione comune del termine, vale a dire in riferimento a qualcosa di bello che desideriamo, ma che può realizzarsi oppure no; qualcosa che speriamo, come un desiderio. Si dice per esempio: ‘Speriamo che domani faccia bel tempo’, ma sappiamo che il giorno dopo può fare invece brutto tempo». «La speranza cristiana non è così», ha esclamato il Papa: «La speranza cristiana è l’attesa di qualcosa che già è stato compiuto». «C’è la porta, lì, io spero di arrivare alla porta: so cosa devo fare, devo camminare per arrivare alla porta», l’esempio citato ancora fuori testo. «Anche la nostra risurrezione e quella dei cari defunti – il commento di Francesco – non è una cosa che potrà avvenire oppure no, ma è una realtà certa, in quanto radicata nell’evento della risurrezione di Cristo».

«Sperare significa imparare a vivere nell’attesa». Lo ha ripetuto più volte, il Papa, nella parte finale della catechesi odierna: nell’attesa «di trovare la vita», ha precisato a braccio. «Quando una donna si accorge che è incinta – ha proseguito sempre fuori testo – ogni giorno impara a vivere nell’attesa di vedere lo sguardo di quel bambino che verrà». «Anche noi dobbiamo imparare da queste attese umane e vivere nell’attesa di guardare il Signore, di trovare il Signore. E questo non è facile, ma si impara: vivere nell’attesa». «Questo però implica un cuore umile, povero», ha precisato Francesco: «Solo un povero sa attendere. Chi è già pieno di sé e dei suoi averi, non sa riporre la propria fiducia in nessun altro se non in sé stesso». «Una cosa che a me tocca tanto il cuore – ha rivelato il Papa- è un’espressione di san Paolo, sempre rivolta ai Tessalonicesi: a me riempie della sicurezza della speranza. Dice così: ‘E così per sempre saremo con il Signore». «Cosa bella!», il commento di Francesco a braccio: «Tutto passa, ma dopo la morte per sempre saremo con il Signore. È la certezza totale della speranza, la stessa che, molto tempo prima, faceva esclamare a Giobbe: ‘Io so che il mio redentore è vivo. Io lo vedrò, io stesso, i miei occhi lo contempleranno. E così per sempre saremo con il Signore». «Voi credete questo?», ha chiesto il Papa ai presenti, concludendo la catechesi ancora una volta fuori testo, come ha fatto più volte: «Vi invito a dirlo tre volte con me», l’esortazione a cui i 6mila dell’Aula Paolo VI hanno prontamente obbedito: «E così per sempre saremo con il Signore». «E così per sempre saremo con il Signore. E là, col Signore, ci incontreremo», il congedo del Papa.

(Foto Osservatore Romano – Sir)