Trump, la religione, i cristiani

Religione e politica secondo Trump

Le dichiarazioni di Trump durante la campagna elettorale e i suoi primi atti da Presidente paiono andare – l’uso del verbo “parere” è d’obbligo, perché tra le promesse/minacce, i decreti esecutivi che le mettono nero su bianco e la loro realizzazione effettiva la strada è lunga e tortuosa – nella direzione dell’abbattimento del muro che negli Usa ha sempre separato la politica dalla religione. Di qui la promessa di “destroy” il cosiddetto “Emendamento Johnson”, l’art. 501(c) 3 del Codice tributario americano, che proibisce la partecipazione di organizzazioni religiose e di “charity” non governative alle campagne politiche pro/contro un candidato. Chi avesse violato questo articolo, avrebbe perso il diritto riconosciuto all’esenzione dalle tasse. Il presentatore dell’emendamento nell’agosto 1954 fu il senatore Lyndon B. Johnson, divenuto il 36° presidente degli Stati uniti, dopo l’assassinio di Kennedy. Sempre in campagna elettorale Trump ha dichiarato che avrebbe difeso i cristiani perseguitati nel mondo e pertanto ha provocatoriamente invitato papa Bergoglio a pregare, perché lui diventasse Presidente degli Stati uniti. Una volta eletto, ha emanato un ordine esecutivo, che blocca gli immigrati da sette Paesi mussulmani. Se ci devono essere immigrati, che almeno siano “cristiani”!

Il neo presidente e i movimenti cristiani conservatori

Come stanno le cose tra politica e religione, all’epoca di Trump? Alcuni anni fa Robert Putnam e David Campbell hanno condotto una ricerca sulle basi socio-culturali del movimento Tea Party, nato nel 2009, che in questa campagna presidenziale ha sostenuto Trump. I militanti dei Tea Party “non hanno perso il lavoro né hanno guadagnato di meno a causa della recessione. Sono quasi tutti bianchi e in genere hanno sempre avuto opinioni ostili verso gli afroamericani e le minoranze. Oltre al fatto di essere repubblicani, la cosa che li accomuna di più è il desiderio di vedere la religione, cioè il cristianesimo evangelico, al centro della vita pubblica e politica”. La loro teologia politica riprende un antico mito dell’autocoscienza americana: gli Usa come il nuovo Israele, il nuovo popolo eletto chiamato a costruire il regno di Dio in terra e a edificare The City upon a Hill, la città su una collina, che rimanda alla visione della Terra promessa, come dovette apparire a Mosé dal Monte Nebo giordano. Dal quale ancora oggi il turista può osservare una Gerusalemme lontana e splendente di luci. Fu il teologo puritano conservatore John Winthrop, emigrato quale colonizzatore nella baia del Massachusetts, a teorizzare una Nuova Inghilterra, retta secondo la legge divina: la Città sulla collina.

Questo cristianesimo politico vuole mettere fuori legge l’aborto, vietare la contraccezione, difendere la vendita libera delle armi, insegnare il creazionismo nelle scuole, combattere la teoria del cambiamento climatico, chiudere l’Agenzia per la protezione dell’ambiente – perché solo Dio è padrone della natura – inserire nella Costituzione il divieto delle unioni gay… Dietro a Trump, autoincoronatosi novello “defensor fidei”, c’è una frastagliata e molecolare presenza dei New Religious Movements, di culti e di sette, prosperati a partire dall’800 e proliferati fino ai nostri giorni, che hanno in comune un’ideologia “teocon”, spesso aperta a problematiche sociali.

Non è la prima volta che movimenti religiosi, soprattutto nelle loro forme più istituzionalizzate, tra cui il presbiterianesimo – nessuna gerarchia, gli anziani/presbiteri sono elettivi – influiscono sull’elezione del Presidente. È accaduto di sicuro per Andrew Jackson (1829-1837), Woodrow Wilson (1913-1921), Dwight Eisenhower (1953-1961), Ronald Reagan (1981-1989).

Religione e religione civile

Tuttavia, la separazione tra Stato e Chiese negli Usa è sempre stata netta. Non solo perché, appunto, le Chiese sono più d’una, ma perché l’unità “religiosa” più larga è sempre stata quella fornita dalla cosiddetta “religione civile”. Questa è stata un’invenzione di Rousseau e, poi, della Rivoluzione francese, che è passata nella Rivoluzione americana, attraverso i canali illuministici e massonici: George Washington apparteneva alla Massoneria, Thomas Jefferson fu fortemente influenzato dal deismo illuminista. “Religione civile” significa che l’organizzazione politico-sociale della comunità nazionale viene, per un verso, sradicata dal terreno della fede religiosa, quale fondamento della vita associata, e, per l’altro, viene a sua volta sacralizzata, spesso con l’adozione di credenze, liturgie, simbologie religiose secolarizzate. La religione civile altro non è che il Cristianesimo depurato di ogni dogma e usato come collante per tenere insieme società rimaste senza fondamenti trascendenti.

Pertanto Trump non trasformerà il cristianesimo evangelico in religione di Stato, mediante l’abolizione dell’Emendamento Johnson, ma di sicuro tenterà di ingaggiare le molteplici versioni del cristianesimo americano in un impegno politico più stretto.

I cattolici americani

E i cattolici americani? Essi rappresentano il 25/30% della popolazione americana ed hanno votato in maggioranza per Trump, mentre l’episcopato cattolico, dopo anni di appoggio ai Repubblicani, questa volta si è mantenuto equidistante. Secondo John Allen, direttore di Crux, quotidiano cattolico di Boston, un 30% di cattolici ha votato Trump sui temi della famiglia e della contraccezione; un altro 30%, ne ha condiviso le preoccupazioni riguardanti il lavoro e la politica estera; un altro 30% ha sempre votato democratico. Il resto, i credenti moderati, hanno votato Trump.  I vescovi – 196 vescovi locali, 44 ausiliari, 100 emeriti – hanno tutti posizioni diverse fra loro. “Si può in ogni caso dire che un venti per cento ha posizioni teologiche conservatrici, mentre un dieci per cento è più progressista. Tutti gli altri possono pendere più a destra o più a sinistra, a seconda del momento”.

Spunto di riflessione per i cattolici italiani dopo Berlusconi

Resta una lezione per i cattolici italiani? In realtà, l’hanno già avuta. Nel 1994, la maggioranza dei cattolici e i vertici della gerarchia si erano schierati con Berlusconi, il nuovo Defensor fidei. La lezione è sempre la stessa: i cattolici e le loro gerarchie fanno male a cercare, sempre di nuovo, un Arcangelo Gabriele che li difenda con la spada fiammeggiante della politica e dello Stato. Possono solo condividere con tutti i cittadini la battaglia per uno spazio pubblico libero e universalistico. Dentro questo spazio, ciascuna minoranza creativa testimonia la propria fede. E questa è “la difesa” della fede.