Sanremo 2017: sono solo canzonette e (come sempre) i testi non brillano. Con qualche eccezione

Una premessa alla Bennato: sono solo canzonette. E, a leggere le parole di Sanremo 2017, se ne ha una ulteriore prova. Anche se magari ci si aspettava qualcosa di più, perché, come è noto a tutti, la speranza è l’ultima a morire. Amore, amore, amore declinato e cucinato in molte salse, gran parte delle quali riproposte sotto altri nomi, con una sola eccezione, quella di Ermal Meta, su cui torneremo. Ma, a ben ricordare, a Sanremo le eccezioni ci sono sempre state, e pure questo sta a provare che la proverbiale regola è confermata. Concessioni tardive al parlato dopo mezzo secolo (“voglio fregarmene di quello che dice la gente” in “Ora esisti solo tu” cantata da Bianca Atzei), allusioni all’internazionalizzazione del palcoscenico mediatico, di conseguenza alle aperture -e alle recenti chiusure- dei mercati, con la canzone, “L’ottava meraviglia” di Ron che viaggia con “un aereo o soltanto coi sogni/ nei miei occhi l’America/ nei tuoi passi l’Oriente”, con buona pace di Trump che sembra in questi giorni non gradire molti questo tipo di viaggi, soprattutto da oriente verso l’America; va meglio per l’affresco veloce ma sicuro di un momento di perplessità al femminile, di una donna colta nei suoi pensieri, “con le ginocchia sotto il mento”, mentre “fuori piove a dirotto”: la quotidianità di alcuni momenti che sembrano totalmente privi di importanza e invece sprigionano il fascino dell’essere soli con sé stessi emerge nella canzone di Paola Turci, “Fatti bella per te”. Stesso discorso per “Spostato di un secondo”, cantata da Marco Masini, che affronta il tema quasi quantistico delle infinite possibilità e dell’accadere irrisarcibile, anche nell’amore, allusione anche alla necessità di tornare ad una più profonda concezione dello stare assieme, perché il ripensare all’apprendistato d’uomo, fin dall’infanzia, ha insegnato che “se non è strettamente vitale, non rinunciamo ad amare”. Fiorella Mannoia si distingue anche a Sanremo, con un testo, quello di “Che sia benedetta”, in cui c’è il coraggio di raccontare i pensieri più profondi: “e se è vero che c’è un Dio/ e non ci abbandona/ che sia fatta adesso/ la sua volontà”, che è un notevole atto di coraggio in una kermesse in cui si richiede superficialità e il bando di certi argomenti o troppo seri o troppo indipendenti. Ed invece si invita a tenercela stretta, questa vita, e, anzi, “che sia benedetta”. Chapeau.
L’agonismo della vita è affrontato da “Ragazzi fuori”, la canzone di Clementino, che non ignora una vita che talvolta “ti ha servito/ pane col veleno” e che presenta spesso false divinità, davanti alle quali, senza neanche capirlo fino in fondo ci si inginocchia.
Solito tema dell’amore finito, anche se modulato con asciuttezza e con la capacità di penetrare l’universo di solitudine nel quale si sta per sprofondare, nel testo di “Con te” che sarà cantato da Sergio Sylvestre. Motivo che è anche alla base di “Nessun posto è casa mia”, interpretato da Chiara Galiazzo: la solitudine del dopo è però qui vissuta con una certa profondità, con la chiarezza di uno sguardo che sa cosa attende dopo una storia che sembrava unica, e che come tante è finita nel nulla: la consapevolezza di tornare in stazioni “anche se non ci sarà nessuno ad aspettarti” è uno degli elementi di autenticità di un testo che sa uscire dalla banalità e dal melodramma.
Tutti temi d’altri tempi, e quindi da Sanremo, come si vede. Escluso “Vietato morire”, del cantante di origine Albanese Ermal Meta, che parla di violenza domestica. Un testo di notevole impatto, anche se lo si legge senza la melodia, che è uno dei modi per capire se le parole di una canzone sono davvero importanti: protagonista un bambino cui “la paura frantumava i pensieri/ che alle ossa ci pensavano gli altri”. Uno sguardo asciutto su ciò che accade in alcune case senza compiacimento e senza cedimenti al demone della disperazione, perché, e questo vale per tutte le pessime trasfigurazioni di quello che viene contrabbandato come affetto, “l’amore non è violenza”. Che è facile a dire, ma che tanti fatti di cronaca ci dicono altrettanto difficile da vivere. Non sarà Sanremo a cambiare il mondo, ma intanto le parole di una canzone faranno pensare a qualcosa di più serio di un biglietto in seconda fila all’Ariston.