Abbiamo già visto. Mai più. La democrazia in crisi negli USA e altrove

Foto: l’immagine “che ha fatto il giro del mondo

Aeroporto di Chicago: una famiglia ebrea e una mussulmana si incontrano

La foto ha fatto il giro del mondo. Aeroporto internazionale di Chicago. Proteste contro l’ordine presidenziale di Donald Trump che impone un filtro etnico-religioso alle frontiere, discrimina l’Islam e rischia di violentare il cristianesimo. Due papà, con i propri figli in spalla, si ritrovano uno di fronte all’altro con gli stessi cartelli in mano. Gli slogan chiedono “Niente bando”, “Empatia”. “Qui non c’è posto per l’odio”, dicono. “Abbiamo già visto questo prima. Mai più”. I due uomini si somigliano. Sorridono. E sorridono i loro figli. Solo che la piccola, Meryem, 7 anni, indossa il velo, ed è musulmana come il suo papà, Fatih Yildrim. Il piccolo, Adin, 9 anni, ha la kippah sul capo, ed è ebreo, esattamente come il suo papà, il rabbino Jordan Bendat-Appell.

Non si conoscevano prima. E provengono da “fronti” contrapposti in un’altra parte del mondo, che di muri ne ha fin troppi. Ma sono diventati amici. E la settimana prossima si incontreranno per cenare insieme. Come molti hanno fatto rilevare: “Il miglior “effetto collaterale” del muro di Trump.”

Gad Lerner: se non denunciamo a che serve la Giornata della Memoria?

Il post è girato, virale, in rete. L’ha scritto da Gad Lerner sulla sua pagina Facebook:
“Da ebreo provo allarme quando vedo un presidente razzista discriminare i musulmani nei visti d’ingresso agli Usa. La storia si ripete? Se non lo denunciamo, a cosa serve la Giornata della Memoria?”

Immagine e parole che mi hanno interrogato a lungo se non stiamo tutti abbassando l’asticella della soglia di indignazione di fronte ad un radicale cambio di paradigma. Se non assistiamo troppo inerti a linguaggi e azioni che nulla hanno a che fare con il Vangelo. Se non è troppo tardi per fermare una deriva della democrazia che pare inarrestabile. Non solo negli Stati Uniti.

Cina,  Turchia, Russia, India Egitto. E in Italia…

Non bisogna essere esperti di geopolitica per accorgersi: la Cina sta conoscendo una inversione di marcia, dopo anni di una pur lenta liberalizzazione; oggi, nelle mani del presidente Xi Jinping si vanno accentrando sempre più poteri e il paese conosce meno libertà, ad esempio nei mezzi di informazione. Il potere si verticalizza anche nella Turchia di Erdogan, dopo decenni di cammino di modernizzazione. Lo stesso accade in Russia con Putin, e le sanzioni contro Mosca non hanno fatto che coalizzare tutto il popolo con lui.

E ora Trump, il quale – per aumentare il consenso su di sé e per accentrare più potere – parla di un’America allo sfascio, mentre con Obama la disoccupazione si era ridotta ai minimi termini e si è avuto un forte sviluppo tecnologico. La democrazia perde i colpi anche il India, in Egitto. E negli stessi paesi occidentali, dove sempre di più, si affida il potere di decidere a una persona o al suo gruppo. Anche da noi. Per averne conferma è sufficiente osservare gli orientamenti dell’opinione pubblica. Italiana. Che appare attratta, a sua volta, dalla prospettiva di un Uomo Forte. Come mostrano i sondaggi condotti da Demos e pubblicati un paio di settimane fa. Dai quali emerge come, fra i cittadini, questa idea risulti non solo maggioritaria, ma in costante crescita. E oggi dominante. Soprattutto fra i più giovani. I più disillusi, d’altronde, dalla politica e dai partiti.

“La crisi c’è. Ma non è irreversibile. Dipende da noi”

“La democrazia – ha detto recentemente Romano Prodi – oggi è in ritirata. Dieci anni fa era diverso. La crisi oggi c’è, ed è forte. Ma non è irreversibile. Dipende da noi”. Il suo consiglio? “Prima di dire che cosa dobbiamo fare, bisogna capire in che mondo viviamo. Perché se noi ci facciamo l’idea di vivere in un mondo diverso da quello in cui siamo, noi non riusciremo mai a prendere dei rimedi rispetto alla situazione in cui ci troviamo”.

Dunque, dalle nostre parti e nelle nostre comunità, anche cristiane, meno pressapochismo e slogan, un po’ più di studio, di analisi, perché non ci sono risposte facili ai problemi complessi del nostro tempo.
Nel frattempo, però, una cosa deve essere chiara. Lo ha scritto bene Alberto Melloni “è evidente che le chiese pellegrine a Lampedusa e a Lesbo non possono accettare che il nome ‘cristiano’ sia usato come strumento di discriminazione né dentro la famiglia dei figli di Dio né dentro la famiglia dei figli di Abramo”.
Ne va della dignità di Dio. Ne va della dignità degli uomini.