La memoria nella catechesi e nella preghiera

Due diversi metodi di fare catechesi

Gli anziani ricordano di sicuro che a scuola si faceva imparare quasi tutto a memoria: le tabelline, poesie anche di notevole lunghezza e quant’altro. Anche a catechismo si fissavano a memoria le più diverse nozioni della dottrina cristiana e le preghiere da indirizzare un po’ a tutta la corte celeste.

A un certo punto però, psicologi e pedagogisti decisero che l’apprendimento a memoria non andava più bene, perché aveva del pappagallesco. E poi avevano scoperto che per far ritenere a un ragazzo le cose a memoria non c’è niente di meglio che il racconto e poi il disegnare il fatto raccontato.

In campo catechistico questo provocò una vera rivoluzione epocale. Si abbandonò praticamente il Catechismo di Pio X, un prontuario di formule dottrinali detto appunto “catechismo della Dottrina cristiana”. Venne adottato un metodo, mutuato in particolare – così si diceva – dal Vangelo di Marco fondato sul racconto. Il racconto doveva favorire una conoscenza viva di Gesù, Figlio di Dio. In opposizione al catechismo di Pio X, questa era chiamata “catechesi per la vita cristiana”.

La rivincita della memoria

Confesso che anch’io fui preso dal nuovo orientamento e lo introdussi in parrocchia con convinzione, in sintonia con la diocesi che, quasi all’unanimità, aveva fatto lo stesso.

Avvertii però quasi subito che qualcosa non andava. Con questo nuovo metodo diventava molto difficile a livello verbale la “redditio fidei”. Diventava cioè  difficile l’esposizione anche solo elementare con parole proprie del contenuto e delle ragioni della fede. Anche nella redazione di una rivista di catechesi di cui in quel periodo facevo parte arrivavano con sempre maggiore insistenza segnalazioni di disagio nello stesso senso. Si cominciò quindi a parlarne e a scriverne seriamente.

L’allora presidente della Commissione episcopale della fede e della catechesi, il Vescovo Mons. Giulio Oggioni, entrò autoritativamente in materia. Decise una saggia modifica dei Catechismi della Cei. Questi, abbandonato il Catechismo di Pio X, erano stati impostati sul metodo della “catechesi raccontata”. Al termine di ogni capitolo del catechismo, Mons. Oggioni dispose che fossero poste alcune domande con relative risposte. Si utilizzavano frasi della Bibbia che riassumevano il capitolo stesso. Queste sintesi, imparate a memoria, avrebbero potuto aiutare una “redditio fidei” meno nebulosa. Nello stesso senso la CEI produsse anche il Catechismo della Chiesa Cattolica, sempre a domande e risposte, ma più fondate sul racconto biblico che non quelle del Catechismo di Pio X.

Contemporaneamente si ricominciò anche a raccomandare l’apprendimento a memoria delle preghiere più importanti, che erano state accantonate in nome della “spontaneità personale”

Essendo ormai emerito e fuori dalla mischia, non so dire quanto questo discorso sia entrato nell’attuale catechesi. Sono però convinto che tanto a scuola quanto a catechismo l’apprendimento debba essere fatto allo stesso tempo per via mnemonica e per via di studio e di riflessione sul vissuto.

Una postilla sulla preghiera, “respiro dell’anima”

All’epoca dell’innovazione, fu molto importante l’insegnare a pregare con la mente e con parole proprie. La preghiera come “elevazione dalla mente a Dio” ne guadagnava. Indubbiamente! Ma, abbandonando le preghiere a memoria si rischiò di perdere la possibilità di pregare insieme in famiglia, nei gruppi e nella assemblea liturgica… .

Le formule di preghiera, soprattutto quelle che han superato i secoli, con un po’ di attenzione son ricchissime di stimoli per la fede e uniscono tra loro quelli che pregano insieme.

Recentemente, trovandomi all’ospedale, il mio compagno di camera, un tipo per niente bigotto, una sera mi chiese di recitare insieme il Rosario.  La mattina dopo intonò lui il “Ti adoro, mio Dio, ti amo con tutto il cuore, ti ringrazio di avermi creato…”. A commento, mi disse che nell’adolescenza aveva abbandonato completamente la preghiera. Poi, grazie alla sua passione per la montagna (dodici volte sul Monte Bianco, diverse volte sull’Himalaya…), in quell’ambiente maestoso si riaprì alla fede e ritrovò la bellezza delle preghiere imparate da ragazzo. Diceva che pregando il “Ti adoro” gli pareva di respirare a pieni polmoni come in montagna. Proprio come diceva Gandhi: “La preghiera è il respiro dell’anima“. E lo è anche quando si usano le formule. Viva la memoria perciò!