Quaresima, digiuno, rinuncia. Parole inusuali. E necessarie

Le ceneri

È di nuovo quaresima. Molta gente ha ricevuto le ceneri: il rito, stranamente, è molto frequentato. Forse si intuisce, un po’ misteriosamente, al di là di quel simbolo, un messaggio tanto impegnativo quanto affascinante. Per uscire dalla semplice suggestione si può legare il rito delle ceneri con il vangelo che viene letto, precisamente, il mercoledì di inizio quaresima. È un passaggio del cosiddetto “discorso della montagna”. Gesù esorta a non fare l’elemosina, a non digiunare a non pregare per “essere lodati dalla gente”. Ma a fare tutto nel segreto dove si trova “il Padre tuo” e “il Padre tuo che vede nel segreto ti ricompenserà”.

Il brano oppone i luoghi affollati – le sinagoghe, le piazze  – alla camera, dove si ci deve rinchiudere per pregare “nel segreto”. Oppone il gesto enfatico dell’ipocrita (“ipocrita” significa etimologicamente “attore”) al gesto dimesso o negato.

Il cuore dell’uomo, “santo dei santi”

Impressiona soprattutto quell’immagine del “segreto” nel quale ci si deve rifugiare, e la stanza nella quale ci si deve rinchiudere per pregare. Viene in mente il fatto variamente riferito dagli storici. Nel 63 avanti Cristo Pompeo Magno violò il Tempio di Gerusalemme entrando nel “santo dei santi”, lo spazio rigorosamente riservato dove poteva entrare solamente il sommo sacerdote, una volta all’anno. Ma, con grande sorpresa del conquistatore romano, nella stanza non si trovò nulla: era completamente vuota. Si potrebbe dire, sulla scorta del vangelo di inizio quaresima, che il santo dei santi è il cuore dell’uomo. In quella stanza Dio si affaccia e lì gli si può parlare. Ma è necessario che la stanza sia pulita, che sia vuota come il santo dei santi che ha sorpreso e affascinato Pompeo.

La stanza segreta da ripulire

Possiamo, dunque, capire perché si deve digiunare. Per penetrare in questo recesso, bisogna rimuovere gli ostacoli. È necessaria quindi l’ascesi, il tipico stile di vita della quaresima. La nostra continua tentazione, infatti, è di rivestire Dio delle nostre molte cose e delle nostre moltissime aspettative. Corriamo sempre il rischio che il Dio al quale ci rivolgiamo sia non come è lui ma come lo vogliamo noi. Per questo è necessario rimuovere, demolire, togliere. Bisogna “rinunciare”: che strano suono queste parole fuori moda: rinuncia, rinunciare. Strane ma necessarie perché nella stanza vuota il dialogo possa continuare.