I tifosi dell’Atalanta, la droga e l’informazione tra realtà e fantasia

Ancora una volta, come quasi sempre ormai da vent’anni, l’inchiesta – nella percezione dell’opinione pubblica – prevale sul processo. Sta accadendo, e non poteva essere diversamente, per la cocaina sniffata e spacciata nella Bergamo dei giovani, che finisce con l’accomunare i confinanti mondi della movida e degli ultrà, grosso modo, nel quartier generale di Borgo S. Caterina. Ma proprio questo caso giudiziario è emblematico. Le relative misure cautelari, poche decine, erano state richieste nell’aprile 2016 e sono state eseguite adesso. Con un simile ruolino di marcia, il processo – eventuale, fino a prova contraria – quando si celebrerà?

Perché sarebbe meglio aspettare il processo? Perché, occupandesene prima, l’opinione pubblica difficilmente assorbe un’informazione corretta. Giornali e televisioni usano il materiale che hanno, distribuito, in prima battuta, dagli inquirenti, che a loro volta sono inevitabilmente parti in causa. In aula, invece, il comunicatore agisce da reale osservatore e può dunque riferire i fatti secondo le varie versioni di imputati e testimoni. Ma se il dibattimento va alle calende greche…

Senza sminuire gl’importanti risultati della polizia nell’operazione scattata fra domenica e lunedì scorsi, le indagini – tuttora in pieno svolgimento – hanno avuto notevole rilievo mediatico in base alla diffusione di due elementi essenziali. Il primo il coinvolgimento in alcuni episodi di consumo e vendita di droga da parte di circa la metà degli indagati appartenenti al mondo ultrà atalantino. Il secondo la presenza fra gl’indagati del figlio del procuratore capo di Brescia, da molti anni residente a Bergamo. Per il resto, il quadro dell’inchiesta non si distingue  – all’apparenza – da tanti altri, che riproducono frequenti episodi di cronaca, come lo scambio di dosi e denaro nei bagni pubblici.

Quanto al figlio del magistrato, che pare non c’entri nulla col tifo atalantino ed è accusato di semplice cessione (a titolo gratuito) di cocaina, la sua misura cautelare è limitata all’obbligo di firma tre volte alla settimana. A proposito degli ultrà, questore e pubblico ministero, in conferenza stampa, hanno chiarito che il tifo organizzato e tanto meno l’intera curva nord, frequentata da 6 mila persone, nulla hanno a che vedere con l’inchiesta. Restano solo da approfondire i gravi episodi del dopo Atalanta-Inter del 2015 per stabilire se effettivamente quei disordini si verificarono a causa di facinorosi eccitatisi prima d’assistere alla gara con l’assunzione di droga acquistata nei pressi dello stadio.

I titoloni hanno innescato reazioni a pioggia varie, alcune delle quali figlie dell’immancabile demagogia. Fa deragliare il convoglio del buon senso, per esempio, chi sostiene, traendo indebite conclusioni, che si tratta di un’inchiesta ad orologeria dalla quale non sarebbe estraneo il Palazzo del calcio. Motivo, l’Atalanta in lotta per l’Europa, che, in quanto provinciale, darebbe fastidio non si sa bene a chi. Lo stesso dicasi per quelli che tirano in ballo un’ostilità preconcetta del centro verso la periferia. Vittimismi fini a se stessi. Che alla lunga si sono sempre rivelati dannosi.

Cesare Malnati