In Egitto Papa Francesco dal 28 al 29 aprile compirà una visita lampo nel solco di quel dialogo interreligioso che è uno dei pilastri del pontificato del papa argentino. Il Papa ha accettato l’invito del presidente della Repubblica, dei vescovi della Chiesa cattolica, di Sua Santità Papa Tawadros II e del Grande Imam della Moschea di Al Azhar, Cheikh Ahmed Mohamed al-Tayyib. “Il Papa della pace nell’Egitto della pace”: è questo il motto della visita di Francesco nel Paese africano. Nel logo del viaggio del Pontefice l’Egitto è rappresentato dal famoso fiume Nilo con lo sfondo delle altrettanto famose piramidi sormontate dalla Mezzaluna musulmana e dalla Croce cristiana. Il profilo di Papa Bergoglio si presenta legato alla colomba, simbolo di pace.
La diciassettesima visita pastorale del Santo Padre sintetizza per noi il vaticanista Francesco Antonio Grana, nato a Napoli nel 1986, direttore del quotidiano d’informazione on line “FarodiRoma” (http://www.farodiroma.it/) «Dalla forte connotazione pastorale, ecumenica e interreligiosa (con Francesco ci sarà anche Bartolomeo I) avverrà per due motivi principali: il primo per tendere la mano ai rifugiati che dal Nord Africa si riversano in Europa nel Mediterraneo diventato un impressionante cimitero. Il secondo è dialogare con quella parte del mondo musulmano che condanna la violenza jihadista, che proprio in Egitto ha preso la comunità cristiana a bersaglio». Quindi tutti insieme per dire «ancora una volta un no fermo all’uso della religione in nome del terrorismo, del fondamentalismo religioso. Francesco l’ha ripetuto più volte: non bisogna mai accostare la dicitura “religioso” alla parola guerra».
La visita avviene in un momento particolarmente delicato per l’Egitto, ci riferiamo ai brutali attacchi terroristici contro due chiese cristiano-copte egiziane a Tanta e ad Alessandria che hanno ucciso decine di fedeli nella Domenica delle Palme. «È stato questo un brutto campanello d’allarme, abbiamo visto le immagini, la chiesa copta, dove è avvenuto il primo dei due attentati, a Tanta, città sul delta del Nilo, che ha provocato 27 morti e 78 feriti. Il sangue tra le panche, tanti bambini che hanno perso la vita. Il secondo attentato messo a segno da un kamikaze, ha avuto luogo qualche ora dopo ad Alessandria, che è la capitale copta egiziana, fuori dalla chiesa di San Marco, dove era presente il patriarca della Chiesa Copta egiziana Tawadros» chiarisce Grana. Ricordiamo inoltre l’attentato dell’11 dicembre scorso avvenuto durante la celebrazione della Messa domenicale all’interno della cattedrale copta di san Marco in Abassiya, al Cairo, che ha causato la morte di 25 persone, fino ad allora l’attacco terroristico più sanguinoso contro la comunità cristiana egiziana, il 10% di una popolazione di 90 milioni. «Attentati che non sono stati dei biglietti da visita entusiasmanti, ma con il preciso tentativo, come avviene spesso in questi casi, di provocare l’organizzazione papale in modo che un viaggio così delicato salti. Perché questo? Perché il viaggio del Santo Padre in Egitto contribuisce ad affermare un clima di pace e a negare con forza l’uso distorto della religione ai fini della violenza terroristica ma anche a contrastare la vittoria del terrorismo. L’Isis non vince in base al numero di morti che riesce a fare nei suoi attentati, vince quando afferma il terrore. Far saltare il viaggio del Papa in Egitto significherebbe affermare una vittoria dell’Isis. Il terrorismo vince quando la paura prende il sopravvento. Una paura che di per sé è irrazionale. A tal proposito Bergoglio disse: “Se non posso andare in Centrafrica, calatemi dall’alto con un aereo e un paracadute. Ci vado lo stesso”. Anche in Egitto il Papa nonostante questi due ultimi doppi attentati nell’imminenza del suo arrivo vuole andare ugualmente. È difficile capire se ci siano o meno le condizioni per partire, non c’è solo il Papa ma il seguito, settanta giornalisti accreditati. Si tratta dunque di garantire la sicurezza non solo del Santo Padre ma anche del suo seguito». Un passo coraggioso quello di Papa Francesco che riflette l’impegno del Pontefice per la realizzazione della giustizia, della pace e incoraggia le voci moderate in Egitto e in tutto il mondo.
Domandiamo al vaticanista se il primo viaggio internazionale del 2017 di Papa Francesco racchiude in sé un potente messaggio simbolico e politico per il mondo intero, scosso da una strisciante islamofobia. «È un grande viaggio di pace – ci risponde – un messaggio contro l’islamofobia. Il Papa ha detto più volte che non bisogna guardare ai musulmani come a dei terroristi, non bisogna fare questa associazione ma occorre guardare alle persone di altra fede con uno sguardo diverso. L’invito del Papa è quello della pacificazione in ambito religioso Bergoglio ha già compiuto dei gesti importantissimi in questo senso. Pensiamo all’abbraccio a Cuba di Francesco con il Patriarca di Mosca, Kirill, che ha sanato uno scisma di mille anni, pensiamo alla commemorazione dei cinquecento anni della Riforma di Martin Lutero con il viaggio in Svezia, pensiamo alla visita a Lesbo dei profughi insieme con il Patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I. L’incontro con il mondo musulmano che si trova in Egitto, è un altro passo verso la pace, pace che sembra essere messa a repentaglio con questo clima di guerra fredda che c’è ora nel Pianeta. Le tensioni con Trump, Assad in Siria, Putin a Mosca e la Corea del Nord che minaccia una guerra nucleare. Un viaggio di pace quello di Bergoglio in un mondo che vive certamente “una III Guerra Mondiale a pezzi”, come ha denunciato più volte con forza il Papa». Nel 2000 San Giovanni Paolo II era stato il primo Pontefice a visitare al Cairo l’Università di Al-Azhar, sede massima dell’autorità islamica sunnita. Un evento significativo allora e adesso, dopo l’esplosione del terrorismo islamico. In questa sede, Papa Francesco farà un forte appello contro i fanatismi religiosi e la strumentalizzazione della religione da parte dei terroristi anche perché la volontà del papa argentino è quella di superare l’ideologia dello scontro di civiltà.
«Il messaggio è chiaro: la Chiesa d’oriente, la Chiesa d’occidente e il mondo islamico uniti contro l’uso distorto della religione. La religione non può essere un alibi per giustificare il fondamentalismo, il terrorismo, gli attentati e il sangue innocente. Non si chiede alle vittime se sono copte, ortodosse, anglicane, protestanti o calviniste. C’è già un ecumenismo del sangue. Sono perseguitati, il Papa ha ripetuto più volte che ci sono più martiri oggi all’interno del cristianesimo di 2000 anni fa, quando tutto è iniziato, Alcuni nomi li conosciamo, ma tanti martiri cristiani sono ancora ignoti. Quindi all’interno di questo viaggio in Egitto c’è anche il messaggio che ora più che mai le religioni devono testimoniare con l’esempio, con un ecumenismo concreto. Pensiamo alla rete di corridoi umanitari che è stata realizzata a Lesbo da Francesco, da Bartolomeo I e dall’arcivescovo di Atene e di tutta la Grecia Hieronimo. È questa in Egitto una visita attesa anche perché il mondo che si rifà all’Isis non vuole questo dialogo tra la Chiesa di Roma e il mondo musulmano», puntualizza il vaticanista.
«Il dialogo tra noi aiuti a costruire ponti tra tutti gli uomini, così che ognuno possa trovare nell’altro non un nemico, non un concorrente ma un fratello da accogliere e abbracciare» aveva detto il Santo Padre, il 22 marzo 2013, pochi giorni dopo la sua elezione, in un discorso al Corpo Diplomatico della Santa Sede. Poco più di un anno fa, in Vaticano Papa Francesco aveva dato il benvenuto nel palazzo apostolico all’Imam, al-Tayyib, abbracciandolo come un fratello. Con questo gesto si seppellivano dieci anni di incomprensioni e diffidenze tra la Santa Sede e Al-Azhar, «dopo la controversa “lectio magistralis” di Benedetto XVI a Ratisbona nel 2006, quando una citazione di Ratzinger che si riferiva a Maometto aveva creato un incidente diplomatico. La posizione di Benedetto XVI era la stessa che ha oggi Bergoglio. Francesco è riuscito a superare questo momento di freddezza con questo abbraccio in Vaticano, del resto il papa argentino è un uomo dei gesti, è un uomo concreto. In previsione di questo viaggio le ripetute visite in Egitto del Cardinale Jean-Louis Pierre Tauran e di Mons. Bruno Musarò, nunzio apostolico nella Repubblica Araba d’Egitto, hanno preparato la strada. L’incontro tra due capi della Chiesa così importanti segna la fine definitiva della diffidenza e della freddezza che c’è stata tra il mondo islamico e la Chiesa di Roma. Francesco a Buenos Aires aveva già un rapporto importante con i rappresentanti delle comunità islamiche argentine. Bergoglio continua a Roma a livello mondiale nel suo nuovo ruolo di papa a intensificare questo dialogo di amicizia. Dialogo concreto che si pone un obiettivo importante, quello di aiutare i profughi che fuggono da una situazione di violenza, di guerra e di povertà. Le grandi religioni del mondo possono non solo testimoniare la pace ma anche aiutare i profughi. Il Papa ha questo come primo fine nel dialogo con le altre religioni, la salvaguardia dei profughi e delle politiche che possono evitare che questi uomini, queste donne e questi bambini fuggano dai loro paesi di origine» conclude Grana.
(Foto Osservatore Romano – Sir, il Papa in partenza per l’Egitto)