Da “ateo tranquillo” a cristiano inquieto

Mi ricordo molto bene il giorno in cui mi si presentò. Mi parlò della famiglia, dei figli, del suo lavoro, del suo hobby, il teatro. Era venuto a parlarmi proprio di teatro. Mi proponeva una rappresentazione negli ambienti della parrocchia. Non ricordo come la cosa andò a finire, se la rappresentazione ebbe luogo o no. Mi ricordo però molto bene che, a conclusione dell’incontro, si sentì in dovere di chiarire, diciamo così, la sua identità spirituale: “Sono un ateo tranquillo”, mi disse. Lessi subito quella piccola “rivelazione” come un gesto di correttezza: vengo a parlarti, vengo a chiederti un intervento in ambienti parrocchiali, mi sento in dovere di dichiarare la mia situazione verso quello che tu, prete, sei e fai. Già allora gli risposi con la battuta che poi abbiamo ricordato vicendevolmente a più riprese, in seguito: “Meno male che sei tranquillo”.

Lo rividi ancora più volte, anche per un motivo familiare. Un figlio non ancora battezzato (anche questo per coerenza: che senso ha dare un battesimo se io non ci credo?) chiede, ostinatamente, di ricevere il battesimo. Se ne parla e si conclude con il solito, banale: “Perché no?”. Ma si fa notare al papà che la cosa va presa sul serio. Non si chiede, ovviamente, al papà di credere, ma di rispettare la scelta del figlio, accompagnandolo, assecondandolo. Poi si penserà a un padrino che faccia da tutor all’ingresso nella Chiesa da parte del ragazzo. Nessuna obiezione, naturalmente: coerente al no prima, coerente al sì, adesso.

Il ragazzo inizia il suo itinerario di catechesi. Quando ci sono dei momenti di liturgia, messa, preghiera, il papà, immancabilmente, è presente. Non sappiamo quando e come. Sta di fatto che quella presenza a poco a poco da presenza formale e “dovuta” diventa personale e voluta. Non credo ci siano state particolari “vie di Damasco”. La logica dell’accompagnamento al figlio ha fatto diventare logica anche la conseguenza di prendere sul serio la propria fede. Tutto è avvenuto così, in assoluta semplicità. Tanto che non ricordo se ci fu, a un certo punto, un annuncio: “Sono rientrato”. Era evidente che la cosa era avvenuta e non era neppure necessario annunciarla.

Poi se ne dovette riparlare ma per un altro motivo. Un po’ di tempo dopo, un nipote chiede all’amico “convertito” di fargli da padrino alla cresima. Solo che l’amico convertito era divorziato, risposato civilmente. Il ricupero della fede, dunque, gli creava qualche problema. Non ebbi dubbi, visto il percorso, di fare lo strappo e di firmargli la dichiarazione di idoneità. Ma concordammo insieme una battuta. L’amico, prima era un ateo tranquillo. Adesso era un cristiano inquieto. A riprova del fatto che l’essere cristiani non è una scelta che fa star bene, ma aiuta a trovare un senso anche quando si sta male.