Macron, la Francia e noi

La vittoria di Macron interessa a noi Italiani da almeno tre punti di vista.

Macron ha puntato sull’Europa

Primo. È la prima volta in assoluto nella storia della politica francese che un candidato punta sull’Europa. Da sempre il nazionalismo francese, da quello gaullista a quello della gauche, è stato ostile ad una più stretta Unione europea, contro la cui proposta di Costituzione i Francesi votarono con una maggioranza del 55%. Hanno utilizzato la UE per tentare di imbrigliare la potenza tedesca e per poco altro. Questo nuovo atteggiamento si preannuncia meno prono verso la Germania, ossessionata dall’inflazione di Weimar. Macron è più in asse con Draghi – e con Renzi – che con Schäuble. Ce n’est q’un début, ovviamente, ma apre la strada ad una accelerazione del processo di riforme istituzionali degli assetti europei. Meno intergovernativa e più federale: questa la prospettiva, del tutto in salita. La sconfitta del nazionalismo tradizionale, oggi rappresentato da Marine Le Pen, rende più agevole il cammino. Senza illusioni. Certo, non si annunciano i “lendemains qui chantent”, come gorgheggiava Paul Eluard, ma certo se “il passato è un uovo rotto, il futuro è un uovo da covare” (idem!).

Rapporto virtuosi tra istituzioni e politica

Secondo. Particolarmente istruttiva e pedagogica per la maggioranza degli Italiani – e, in particolare per quelle élites che hanno votato NO nel referendum del 4 dicembre – è la relazione virtuosa che si è instaurata nella Quinta repubblica francese tra il sistema istituzionale e quello politico. Se sulla terra del sistema politico avvengono scontri, lacerazioni, deflagrazioni di vecchi partiti, il cielo delle istituzioni si mantiene sereno. Le istituzioni sono solide, il rapporto tra sistema istituzionale e sistema elettorale fila liscio, il Paese sta al riparo dalle convulsioni politiche della società civile. Nessuno dei tre candidati maggiori ha raggiunto il 25% dei consensi; eppure, grazie al ballottaggio del doppio turno, uno di loro diventa presidente, se supera il 50%. Il ragionamento per cui un partito al di sotto del 25% decide del Presidente è falso, perchè al secondo turno avviene una nuova elezione, che individua un Presidente legittimo e legittimato. La domanda è: perchè non possiamo fare come in Francia?

Macron uomo di sinistra

Terzo. Benché molti opinionisti ostinatamente insistano nel definirlo un “centrista”, la realtà è che Macron rappresenta un nuovo tipo di sinistra, che si lascia alle spalle la vecchia sinistra radicale e quella socialdemocratica. La storia del comunismo e del socialismo si è sempre giocata all’interno degli Stati nazionali: l’internazionalismo socialista si è infranto sugli scogli tragici della Prima guerra mondiale; quello comunista, vagheggiato da Trostky, sul “socialismo in un Paese solo” di Stalin. In questo caso, l’internazionalismo dei Partiti comunisti nazionali venne ridotto ad appoggio dall’esterno al Paese del socialismo. Al riparo degli Stati nazionali, le sinistre socialiste e socialdemocratiche hanno costruito lo Stato sociale. Questa storia si è esaurita, perchè la globalizzazione ha cambiato radicalmente il quadro.

La sinistra, la globalizzazione e il nostro nazionalismo straccione

La sinistra da nazionale è costretta a diventare sovrannazionale e globalista e, pertanto, a costruire istituzioni di governo sovrannazionale dell’economia, della finanza, dei mercati del lavoro, della moneta. Per noi significa un’Europa federale. Macron non è, dunque, un meticcio centrista, che mischia sinistra e destra, è la sinistra qui e ora. Dinamiche analoghe, ancorchè di segno opposto, hanno investito la destra. Con risultati analoghi. Con il suo 34% Marine Le Pen fa nascere una nuova destra, mentre quella a nazionalismo debole e incoerente viene messa nell’angolo. Il crinale che separa sinistra e destra non è più principalmente quello sociale, ma, appunto, quello sovrannazionale/nazionale, apertura/chiusura al mondo.
L’avventura di Macron è soltanto agli inizi; le elezioni legislative l’11 giugno e il 18 giugno – per il secondo turno – comporranno definitivamente il quadro politico-istituzionale francese.
Ma, intanto, la lezione per noi Italiani – abbarbicati alla Prima repubblica, al sistema proporzionale, alle corporazioni, ai veti reciproci, al non-governo come sistema di governo – è limpida.
Le questioni malamente chiuse con la vittoria del NO nel referendum del 4 dicembre si dovranno riaprire. La chiusura patologica nel nostro nazionalismo straccione ci porterà fuori dell’Europa, rendendo più difficile rispondere alle domande di giustizia e di lotta alla povertà, che il non-governo ha lasciato incancrenire, facendo crescere un intreccio mefitico di populismo e di nazionalismo.