Andy Warhol e le nuove icone per una nuova religione. Da BergamoFestival alla mostra alla Gamec

Museo come tempio laico. In occasione della mostra “Andy Warhol. L’opera moltiplicata: Warhol e dopo Warhol” appena aperta alla GAMeC e disponibile alla visita fino al 30 luglio, martedì la storica dell’arte e responsabile dei servizi educativi Giovanna Brambilla ha offerto al pubblico del Festival della Cultura di Bergamo una lectio magistralis sull’artista, fruibile anche e soprattutto a chi vorrà visitare la mostra in città. Ricordiamo che i partecipanti agli eventi del Festival avranno diritto a uno sconto. “Nuove icone per una nuova religione” è il titolo dell’intervento, perché oggi come negli anni sessanta sacro e potere si slegano dai loro classici contesti e vanno ad assoggettare altri campi, e se il potere non è più appannaggio della politica ma forse dell’economia globale, il sacro rifugge sempre più le religioni tradizionali per conquistare l’industria del desiderio e creare nuovi idoli mediante l’ossessione verso l’estetica. A partire dalle opere della mostra in GAMeC, curata da Zacinto di Pietrantonio, la riflessione ha preso forma mediante sei hashtag tematici: artista, diva, evento, politica, oggetto, morte, che potranno guidare il visitatore lungo un percorso espositivo volto più ad esprimere l’energia creativa di Warhol che la cronologia della sua produzione o le distinzioni tematiche. Esponente di spicco della pop art, Warhol fuse arte e vita nel suo personaggio, rendendosi cavia del suo stesso esperimento artistico: dalla parrucca per sembrare già vecchio all’utilizzo sfrenato di televisione e registratore nella sua vita privata per anestetizzarsi dalle emozioni e non riuscire più a distinguere il pubblico dal privato, l’autentico dall’artefatto. Il suo intento era studiare l’involucro, la superficie delle cose, per restituire il male in modo neutrale. La guerra in Vietnam, le lotte per i diritti civili, sono solo alcuni degli avvenimenti di quegli anni, di fronte a cui Warhol comprendeva l’enorme potere dei media nel comunicare ed assuefare le masse. L’uso della fotografia e la riproducibilità inoltre, senza possedere l’originale, supera il concetto di autorialità rendendo importante, forse com’è diventata nostra abitudine oggi, la riconoscibilità e non l’unicità dell’opera. Warhol voleva essere un ricettacolo di ciò che sono gli altri, una carta assorbente o uno specchio, una macchina, ma riuscì anche a farsi da promoter dopo che un’attivista femminista gli sparò, facendosi fotografare sulle copertine patinate nella posa dei cristi “Vir Dolorum” delle opere bizantine, originario lui stesso della Slovacchia e di rito ruteno. “Alcune ditte vorrebbero comprare la mia aurea”. La stessa diva Marylin verrà incorniciata da uno sfondo dorato e le fotografie del lutto di Jackie Kennedy saranno opere colorate. Ecco che il sacro si incarna in un totem, oggetti di culto con cui l’America sperimenta il pensiero sacro e la consustanzialità. Il culto passa dalla chiesa al museo, vero e proprio tempio laico. Warhol mostra le icone, le reliquie e le indulgenze del suo tempo: anche non volendo fare politica le sue icone ritraggono Mao, Nixon, la falce e il martello che incontrò in un viaggio in Italia. In fine, la bio politica di Foucault decide sulla vita e sulla morte, privatizzata: la sedia elettrica vuota ha degli scranni di chiesa vuoti, il punto di fuga è fuori dall’opera e non ci permetterebbe di vedere negli occhi il condannato. Ma così Warhol riesce a mercificare anche il potere e il popolo e l’elitè non possono fare altro che cercare di nutrire il bisogno di trascendente con questi idoli ma il tentativo di colmare quel vuoto risulterà sempre fallimentare.