Cose da non chiedere a chi si sposta sulla sedia a rotelle: non è la disabilità a definire una persona

Mi presento: sono Silvia, ho compiuto 30 anni da qualche mese e scrivo su Santalessandro – e su altre testate – da qualche anno. Ah, c’è un altro piccolo particolare: uso una sedia a rotelle per muovermi, perché ho una disabilità motoria dalla nascita. È molto probabile che i miei lettori che non mi conoscono di persona, e molte persone che intervisto, per esempio al telefono, lo scoprano in questo momento, perché non credo che questo sia un particolare così rilevante per il mio lavoro e di solito mi limito alla prima frase per definirmi.

Per questo ho letto con curiosità la notizia che annuncia una nuova trasmissione su Real Time (canale 31 del digitale terrestre) che andrà in onda domenica 21 maggio alle 21.10. Si intitola “Cose da non chiedere” e parte da un presupposto semplice e vero. Di fronte ad alcune cosiddette “categorie diverse” le persone si fanno domande, ma poi hanno paura a dirlo agli interessati, per paura di ferire la loro sensibilità. Nel programma, invece, queste persone “diverse” rispondono ad alcune di queste curiosità, poste in maniera anonima.

Le “persone su sedia a rotelle ”, secondo la definizione del sito ufficiale del programma, sono tra le categorie scelte – le altre sono persone di bassa statura, obesi, immigrati dall’Africa, transgender, persone con la sindrome di Down, musulmani, rom – e lo spezzone dedicato si può già trovare online su http://it.dplay.com/realtime/cose-da-non-chiedere/le-persone-sulla-sedia-a-rotelle-rispondono-odio-e-amore-invidia-per-chi-cammina/.

Io l’ho visto, ma ho intenzione di fare una recensione classica, anche per non rovinare la sorpresa a chi vorrà guardarlo e farsi un’idea personale.

Mi permetto di aggiungere qualche considerazione personale, e dirvi che ci sono almeno un paio di motivi per cui penso che l’approccio del programma sia da considerarsi positivo. Primo: le persone con disabilità (è questo il termine più giusto da usare, le parole sono importanti) sono pochissimo rappresentate in tv. Poi, penso davvero che molte delle paure derivino dalla non conoscenza, perciò vedere le persone in carne e ossa, i sorrisi, le espressioni, può veramente essere un modo per abbattere gli stereotipi.

E qui arriviamo, però, ai punti deboli del format: fare un’unica, grande, categoria “disabili su sedia a rotelle ” è riduttivo. Ci sono persone che sono disabili dalla nascita, altre che lo sono diventate a causa di eventi traumatici, diversi gradi di autonomia e abilità possibili. Ognuno di noi è diverso: io, che posso comunque fare qualche passo se serve, non saprei mettermi nei panni di chi, da un momento all’altro, è diventato paraplegico dopo un incidente d’auto.

Non esistono “cose da non chiedere”, ci sono soprattutto “cose da non fare”: non sopporto il pietismo (“poverina”!), le persone che non fanno le domande direttamente a me ma magari a chi mi accompagna, che considerano l’equazione “non ti muovi bene, devi essere anche poco intelligente”. Succede sempre di meno, perché appena rispondi a tono poi le persone si accorgono che è sbagliato, e magari non ripetono l’errore.

Ho solo un punto fermo nella vita e mi piacerebbe che sempre più persone la pensassero così: non bisogna nascondere una disabilità – è impossibile farlo, purtroppo! – ma non è la disabilità che deve definire la persona. Ho una squadra del cuore, cantanti per cui stravedo, posso essere brava nel mio lavoro o pessima, simpatica o insopportabile, dolce, decisa, testarda e anche cattiva: tutti noi siamo queste cose, possiamo parlare di mille argomenti. Fermarsi al fatto che ho bisogno di aiuto per fare le scale o per prendere un treno (tasto dolente!) non rende onore a me e tutti quelli che devono convivere con una condizione “diversa”, tra mille virgolette.