Una donna vestita di sole: al Museo Bernareggi le Madonne lignee prendono vita grazie all’arte e alla moda

Basta guardare il volto delle Madonne che si raccontano nelle sale del Bernareggi. Sguardi umani, di una bellezza commuovente. Il Museo Bernareggi vive il mese mariano riproponendo per il secondo anno consecutivo un esperimento antropologico affascinante che in questa edizione si manifesta attraverso l’arte architettonica e sognante di Mariella Bettineschi e la moda ragionata e delicata di Cristina Gamberoni, attraverso il suo brand Nei Miei Panni. Sono loro le protagoniste de «Una donna vestita di sole», titolo della mostra che apre oggi in via Pignolo 76, a Bergamo (inaugurazione alle 18) e che permetterà di reinterpretare la tradizione delle Madonne da vestire.
Si tratta di una pratica antica e affascinante che don Giuliano Zanchi, segretario generale della Fondazione Bernareggi, ha saputo riportare in museo, in chiave contemporanea, scovando sul territorio artisti che hanno dato la loro interpretazione alle madonne lignee custodite al Bernareggi, dialogando con il contesto storico e artistico e facendo «vivere» queste donne-statue, bellissime e intense: «È un po’ come restituire alla vita “oggetti” che hanno una storia, facendoli diventare anche più comprensibili al pubblico che visita e scopre il museo – spiega Zanchi -. Sono statue nate per essere vestite: un tempo indossavano abiti lussuosi e solenni, quando la dignità estetica dell’abito dialogava con l’oggetto della devozione».Un rito legato alle devozioni popolari, che attraversa i secoli dal Medioevo allo splendore dell’età barocca, preservandosi con alterne fortune fino ai nostri giorni e che interessa soprattutto l’Italia, la Francia, la penisola Iberica e, oltreoceano, l’area latino americana. «Ora raccontiamo la pratica in chiave contemporanea attraverso l’arte e la moda bergamasca: le creazioni di Cristina Gamberoni dialogano, con stupefacente efficacia con le opere che Mariella Bettineschi dedica ormai da molto tempo al tema dell’abito: gli abiti come architetture primarie erette a custodia dei corpi. Un incontro pieno di sintonie».

Sono dieci le opere di Mariella Bettineschi, artista di fama internazionale, ora in mostra al Bernareggi: «Vanno dal 1980 al 2000. In particolare i “vestiti” del 1996, dal titolo “La vestizione dell’angelo”, sono opere sull’invisibile – spiega l’artista -. Dell’angelo noi possiamo vedere solo gli abiti, quello che il nostro occhio può percepire. Quello che sta oltre lo possiamo solo immaginare». Abiti monocromi dal gusto architettonico: «Virtuali, fuori scala, realizzati con materiali differenti: c’è l’acciaio, ci sono tessere di mosaico, ma anche carta e velluto». Impronte di angeli, in una leggerezza metaforica propria dell’artista: «In particolare ci sono anche due opere nate nel 2000 proprio fotografando queste Madonne lignee: una l’ho stampata su tulle, l’altra è una è un’immagine retroilluminata».
Abiti ed emozioni che riempiono gli spazi, li abbracciano in un percorso che attraversa le sale del Bernareggi dove commuovono le tre Madonne lignee vestite da Nei Miei Panni: «Davanti a queste opere, nel silenzio del rispetto del loro significato e della loro storia, sono partita dall’esperienza del mio lavoro stilistico per raccontare tre donne, nella loro essenzialità e consapevolezza femminile – spiega Cristina Gamberoni -. Ho osservato gli sguardi, i colori, mantenendo la sacralità della figura, la forza antropologica, ma reinterpretando ogni elemento attraverso le forme e le linee del progetto stilistico di Nei Miei Panni, che da sempre parte da immagini legate alla Natura, un filo conduttore che si snoda attraverso tessuti e forme».
C’è umanità in queste opere, ci sono leggerezza ed essenzialità rappresentati attraverso i cotoni e i lini del Cotonificio Albini, di Albino, per un progetto che mostra Maria, nella sua bellezza contemporanea, nella sua umanità e incredibile quotidianità: «Racconto la Madonna con un abito che rimanda al vento, al movimento, alla danza: alla voglia di tornare bambini e di esprimere quel rapporto indossolubile tra madre e figlio – continua Gamberoni -. E poi c’è il tema dell’acqua, dello scorrere, del “lasciar andare”, ma anche la concretezza della pietra, espressione di una donna consapevole e forte».
Le variazioni del rosa, bel blu e del grigio: «Questi simulacri ritornano ad essere quelle “preghiere materializzate” che sono stati per secoli, ma con un’interpretazione contemporanea» continua Zanchi. A completare l’allestimento il video di Federico Casu e le didascalie poetiche di Marta Biffi. La mostra resterà aperta fino al 11 giugno (da martedì a domenica, 15-18.30): «Un modo per vivere il mese mariano nella sua spiritualità, in un percorso devozionale che è ricerca culturale partendo dal sapere del nostro territorio».
Nel dettaglio, dall’immagine del vento, le parole che raccontano il primo abito rimandano al movimento, alla danza, al giocare e tornare bambini.
Il colore sui cui Cristina Gamberoni ha lavorato è il rosa, in tre toni e fantasie differenti, con tessuti in lino e cotone misto lino.
La veste realizzata è un abito intero accollato con manica tre quarti, dalla gonna ampia che arriva sotto al ginocchio, rimando all’abito Porfido, uno dei capi storici di Nei Miei Panni, all’insegna del movimento e della evanescenza dei suoi volumi.
La Madonna a piedi scalzi accenna un passo, in un atteggiamento che ricorda il movimento: sarà posizionata con in mano il suo Bambino, come se mamma e figlio avessero appena terminato una giravolta insieme, in un gioco di amore ed emozione tra i due.
Dall’immagine dell’acqua, del suo scorrere, le parole che raccontano il secondo abito rimandano ai toni intensi del blu, ai riflessi e al riverbero, al fluire, al lasciar andare.
Il colore su cui Cristina Gamberoni ha lavorato è quindi il blu, con due differenti lini: blu cina e azzurro mélange per l’abito, che si abbinano al lino bianco grezzo per la sottoveste che arriva fino ai piedi, insieme a due fantasie – puntinate e melangiate – nei toni dell’azzurro per i dettagli.
La veste realizzata è un abito accollato con manica tre quarti con lunghezze differenti della gonna che scende svasata: più corta davanti, con la sottoveste in vista; più lunga dietro, rimando all’abito Scala, capo realizzato da Nei Miei Panni nel 2015 e ora elemento costante della collezione. A valorizzare la scollatura, un ricamo realizzato da ritagli di stoffa che scendono e riempiono il decolleté, a rappresentare le gocce d’acqua come pioggia dal cielo che scivola sulla terra.
Infine dall’immagine della materia, nella sua ruvidezza e stratificazione, le parole che raccontano il terzo abito sono la pietra, lo stare, il vivere uno spazio in un tempo, la consapevolezza, e un rimando naturalistico al fuoco, all’energia del vulcano con le pietre dell’Etna che questa Madonna avrà tra le mani.
Il colore su cui Cristina Gamberoni ha lavorato è il grigio, nelle sfumature che il lino racconta con le sue trame. Si tratta del capo più complesso e di nuova ideazione, rimando a uno dei primi capi realizzati nel 2012.
È composto da due vesti sovrapposte: una in lino rigato doppiato al cotone bianco, una in lino grigio mélange doppiato a un cotone rigato leggero, stretta con una cinta sempre in lino grigio. Sopra una giacca in cotone con stampa damascata. Le forme essenziali delle spalle e del giromanica giocano con le gonne più ampie e svasate, in una forma unica geometrica e rigorosa.