Nel backstage del centesimo Giro d’Italia: una passione così forte trasforma i sogni in realtà

Bormio, 23 maggio 2017. Il sole splende sulla perla della Valtellina, le montagne che conservano ancora qualche striscia di neve oltre i 2mila metri circondano la vallata. Più in basso prati ancora ingialliti memori dell’inverno si alternano a chiazze di un verde intenso che pensano già all’estate. Al centro della scena oggi c’è, in paese e dintorni, l’arrivo della tappa regina del Giro d’Italia quella che parte dalla nostra Rovetta, scala il Mortirolo, lo Stelvio, lo Stelvio ancora e porta i corridori a planare a Bormio appunto. Giungo a Bormio a bordo di un’auto della stampa che precede di qualche chilometro la corsa, al mio fianco c’è Gino Cervi impegnato a scrivere una sua personale rassegna dedicata al Giro per il Touring. È lui che mi ha invitato e per questo lo ringrazierò a vita. È al volante, mentre dietro ci sono due ragazzi entusiasti e preparati che seguono il giro per Bidon, un blog dedicato al ciclismo gestito da loro e da altri coetanei. In mezzo a loro, Marco Pastonesi, firma storica del ciclismo per “La Gazzetta dello Sport”, ora in pensione, ma non molla la passione per la bicicletta.
Insieme a Gino ho già seguito due giorni prima, sempre sulla stessa auto, la tappa con arrivo a Bergamo ed è stata un delirio di emozioni. Sia per le dinamiche della corsa, sia per l’entusiasmo incontrato sulla strada e, non per ultimo, per il fatto che per la prima volta realizzavo il mio sogno di essere dentro la corsa e di esserci per lavoro, come “inviato” per L’Eco di Bergamo che sull’edizione del giorno dopo mi ha riservato due pagine intere per raccontare la corsa, il contorno soprattutto, dal mio punto di vista. Avete presente come è realizzare uno di quei sogni che culli fin da bambino? E pensi “tanto non succederà mai”? Ebbene a me è capitato di rimanere di sasso di fronte a questa situazione che da sogno è diventata realtà. Mi è capitato di sentire dentro un’emozione reale e fanciullesca che però doveva fare i conti con qualcosa che, sorridendo, continuava a martellarmi nella testa per dire “Ma sta succedendo davvero? Sto vivendo davvero tutto questo?”. La seconda domanda che pongo è: avete presente come è quando nel sognare, da soli o con qualcuno, aggiungete un pezzo in più al sogno base introdotto di solito da qualcosa tipo “e se poi succedesse che… beh, quello sarebbe il massimo ma forse chiedo troppo”.
Ecco nel mio caso il primo sogno era quello di poter essere dentro la corsa da “inviato”: realizzato. I dettagli in più che rendevano il sogno ancor più bello era poterne scrivere per un giornale autorevole: realizzato. Il pezzo mancante nella mia testa era quello che mi portava a dire: vorrei vivere una giornata intera da inviato, vedere da vicino i mostri sacri del giornalismo che lavorano e come lavorano, capire cosa succede nel Giro d’Italia dei media. Chi sono? Dove sono? Come fanno? Cosa fanno? Quanti sono? Il lettore perdoni quest’ampia parentesi, ma ora torno a Bormio, al 23 maggio.
Sono le 13 in punto quando, dopo aver parcheggiato l’auto nel quartier generale di tappa, si spalancano davanti a me le porte della sala stampa della tappa regina del Giro d’Italia. Tra il trambusto, il movimento, i computer, la gente che si muove freneticamente, le televisioni che trasmettono la tappa, lo squillo costante dei cellulari e l’atmosfera di attesa inizio a fare “la conta” dei personaggi-giornalisti più celebri. Passano davanti a me con disinvoltura e sorridendo, mentre io sono molto impacciato. È la prima volta. La stessa voce martellante inizia a dirmi “Ma sta succedendo davvero?” e mi pare di estraniarmi da me stesso, di vedermi dal fuori: attore di una messa in scena. Perché è tutto troppo bello per essere vero. Eppure è vero.
Riprendo coscienza e cerco di entrare nel vivo. Noto Andrea Berton, autorevole firma della Gazzetta, che avevo già conosciuto qualche anno fa. Mi saluta subito, sembra abbia davvero piacere di vedermi. Addirittura si intrattiene un po’ per chiedermi cosa faccio e come sta procedendo il mio tentativo di carriera nel giornalismo. Gli racconto e, nel giro di pochi minuti, mi presenta ad un giornalista spagnolo, ad un collega della Gazzetta bergamasco, Paolo Marabini il quale dice che mi legge e che ha letto il mio libro su Alfredo Calligaris. Ci intratteniamo anche con loro, addirittura col “collega” spagnolo mi lancio in una specie di spagnolo, recuperando vecchi ricordi del liceo. Una sorta di trance agonistica che dà, sembrerebbe, i suoi frutti.
Seguo tutto il resto della tappa alla televisione dall’ultima fila della sala stampa. Una scelta simbolica, perché sono l’ultimo arrivato. Ma anche strategica perché da lì posso vedere meglio come si muovono i giornalisti veri. C’è l’Equipe, El Pais, il Corriere della Sera, le riviste specializzate, la Rai, Mediaset, insomma tutto il gotha del giornalismo mondiale. Vedo mani andar veloci sulle tastiere, tendo l’orecchio ai commenti tecnici, carpisco amicizie tra giornalisti e pure qualche rivalità. La corsa che attendevo da un anno sfila un attimo sullo sfondo fino a che il mio beniamino Vincenzo Nibali non taglia il traguardo per primo. Dalla sala stampa si leva un urlo secco di gioia che si mischia a quello che proviene dal pubblico assiepato sull’arrivo, poco distante da dove sono io.
Purtroppo devo rientrare a Bergamo subito, lascio la sala stampa non prima di essermela impressa negli occhi con la promessa tra me e il ciclismo che prima o poi ci tornerò, in maniera più continuativa, per scrivere più articoli possibili, convinto solo ora che non sia più un terreno inespugnabile, che ci sono colleghi disponibili a fare da apripista ai giovani nonostante siano “arrivati”. Me lo dico con un tono di voce diverso, non più così sommesso, perché ormai so che nonostante l’età giovane i sogni – anche quelli professionali – possono diventare realtà se si ha pazienza, se non si calpestano i piedi a nessuno, se si prosegue a testa bassa con sacrificio, umiltà, non credendo alle teorie dei “complotti” e delle raccomandazioni e, soprattutto, dimostrando una profonda passione per quello che si fa consci anche dei propri limiti e delle proprie effettive capacità che devono far dire a se stessi fin dove ci si può spingere a sperare di arrivare là dove si vuole.