Dopo il festival di Cannes: grande assente la speranza. Sullo schermo prevale il pessimismo

“Al festival che non perde un colpo grande assente è la speranza”. Con questo titolo un quotidiano nazionale riassume il messaggio che, nella sua lettura del Festival di Cannes, è venuto dalla settantesima edizione della kermesse cinematografica internazionale che si è conclusa il 28 maggio.
La considerazione va oltre l’elenco dei vincitori e dei vinti, oltre l’esibizione del lusso dei gioielli e dei vestiti, oltre i gesti e le parole ad effetto.
Tutto questo si può lasciare al “tappeto rosso” che i media hanno ripreso.
L’inviato del giornale, che giorno dopo giorno ha seguito con grande competenza il festival, arriva ad affermare che la speranza, salvo rare eccezioni, è stata la grande assente mentre, al contrario, il pessimismo è stato il grande presente nelle opere presentate.
È vero che questo è il tempo della crisi, del terrorismo, delle incertezze e delle passioni tristi eppure in passato registi, attori e attrici si sono confrontati nelle loro opere con situazioni lacerate e laceranti. Il realismo non è mai mancato ma la parola “fine” a conclusione della proiezione nelle sale non è stato un messaggio di rassegnazione, di resa, di melanconia.
Nella conclusione dell’articolo l’inviato a Cannes, dopo aver accennato a un film sulla storia di chi ha perso familiari in un attentato terroristico scrive: “Certo, compito dell’arte è porre domande, non dare risposte. Ma vie d’uscita pare davvero che non ce ne siano. Con qualche rarissima eccezione, il pessimismo della ragione non è mai stato, o almeno alleviato, dall’ottimismo della volontà, anzi. A questo festival scintillante è mancato qualcosa di più del capolavoro. È mancata la speranza”.
Lo spirito del tempo, (Der Zeitgeist), sembra essere intriso di un pessimismo così forte da rendere rassegnate al male opere d’arte, opere del pensiero, opere dell’ingegno quali sono i film dei grandi registi, dei grandi attori e delle grandi attrici, dei grandi autori di colonne sonore.
Con la rassegnazione al male e al nulla non nascono i capolavori.
Questo non vale solo per il cinema, è evidente.
Cannes, commenta il giornalista, è un segno della resa dell’uomo di fronte al male, al nulla.
Il pessimismo entra nelle immagini, nelle parole, nei suoni.
Non può essere questa l’ultima parola, neppure per il cinema. L’ultima parola non è come quelle che l’hanno preceduta, è il silenzio che apre al mistero.
Il cinema in questa comunicazione più profonda e intima dell’uomo ha sempre saputo nel tempo offrire segni di speranza, anche se spesso impercettibili.
Cannes, ribadisce l’inviato, non è riuscito nell’intento. L’augurio è che il cinema nel racconto di tracce di umanità in un tempo di crisi, sappia offrire il suo contributo perché il pessimismo non impregni lo spirito del tempo, perché spente le luci della sala se ne accedano altre nella mente e nel cuore degli spettatori.

Nella foto una scena del film vincitore The Square dello svedese Ruben Ostund