Il lavoro del futuro? Non c’è. Le università devono offrire ai giovani la capacità di continuare a imparare

«Il lavoro del futuro non c’è. Il 65% degli studenti delle scuole elementari di oggi farà un mestiere che non c’è». Queste sono alcune delle parole di Remo Morzenti Pellegrini, Rettore dell’Università degli Studi di Bergamo, intervenuto in un incontro tenuto presso la sala Agliardi dell’Oratorio San Giovanni Bosco di Cologno al Serio venerdì 26 Maggio 2017. L’incontro, promosso dall’ Ufficio diocesano per la pastorale universitaria (presente con don Giovanni Gusmini) in collaborazione con l’oratorio e con il patrocinio del comune, aveva come titolo. “Giovani oggi nel mondo della globalizzazione e della società della conoscenza: tra precarietà e opportunità”. La serata era rivolta a tutti i giovani e chi li ha a cuore: genitori, educatori, collaboratori di gruppi di volontariato. Un’ottima occasione insomma per imbastire una riflessione sui giovani d’oggi in vista del prossimo Sinodo sui Giovani indetto da Papa Francesco.
La promessa all’inizio era ambiziosa: «sfatare e smontare miti e pregiudizi». Ma quali sono questi luoghi comuni? Il rettore ne cita alcuni: troppe università, troppi laureati, troppi aeroporti, una sanità sempre più gravosa, le future generazioni che sicuramente- si dice- vivranno peggio dei loro genitori.
Alla luce dei cambiamenti sociali («ci sono stati più cambiamenti negli ultimi venticinque anni che in tre secoli. Ma non fa più notizia dirlo».), si affaccia un nuovo concetto di politica internazionale, di economia dello sviluppo, di scuola, di università, di ricerca, dei processi di specializzazione e di formazione continua. Un mondo in cui gli schemi tradizionali non reggono più, e dove le parole-chiave sono velocità (con la sua immediatezza, ma anche la sua impazienza), tecnologia ed economia. Un mondo che ha fatto esperienza di un lungo periodo di crescita nella disponibilità delle risorse, ora decrescente e irreversibile. Non è possibile proporre vecchie soluzioni o modelli, né rifiutare con ostinazione la realtà.
Di fronte a tutto ciò, cosa possono fare le Università? Quali sfide porsi?
Dovrebbe essere un fattore abilitante per un’Europa moderna, un’istituzione che si prende cura dei luoghi remoti, un luogo in cui si valorizzano le differenze e che guarda ad un mondo globalizzato (il sapere non ha confini, giusto?). In cui insegnare la capacità più importante di tutte: imparare. Non un mestiere, ma imparare ad imparare.
Concludo con le parole del presidente Mattarella alla cerimonia di inaugurazione dell’anno accademico 2016/17 dell’università di Bergamo il 30 novembre 2016:«Noi possiamo quel che sappiamo: l’istruzione, l’apprendimento e la cultura sono la misura delle opportunità che si hanno nella vita per realizzarsi e contribuire alla vita collettiva »