Cologno al Serio: d’estate l’oratorio si trasferisce in Africa. Per un mese “in missione”

L’idea di un viaggio in missione è affascinante. Un sogno da prendere al volo quando ti si presenta l’occasione. Porta con sé tanta curiosità. Ecco perché quando Benedetta, Daniele, Giovanni e Veronica mi hanno detto che sarebbero partiti per la Costa d’Avorio insieme con una ventina di altri giovani di Cologno, ho chiesto loro che cosa li spingesse a farlo.
Benedetta: «Ho deciso di partecipare a questa esperienza perché risponde a un’esigenza che sentivo dentro da tanto, come qualcosa lasciato in disparte e che poi ha trovato il modo di definirsi un po’ di più. La scelta di fare il viaggio ora è in parte data dalla possibilità dei tempi dell’università, dal gruppo, conosciuto in parte, e da una sicurezza maggiore verso qualcosa che in realtà è abbastanza estraneo e lontano.»
Daniele: «Ho deciso di partecipare perché è un’esperienza che secondo me una volta nella vita va fatta. Da solo probabilmente non ci sarei mai andato.»
Giovanni:« Ho deciso di partire per riscoprire me stesso, privandomi del superfluo per un po’ e cercando di capire uno stile di vita diverso da quello a cui sono abituato, un mondo con nuovi colori e con un ritmo tutto suo.»
Veronica: «Voglio provare un’emozione forte, capace di farmi crescere e maturare; vorrei conoscere un mondo nuovo, che non gode di tutti i benefici di cui noi oggi disponiamo. Mettermi a confronto con una realtà completamente diversa dalla mia. Mettermi in gioco per vedere fino a che punto riesco a fare e arrivare.»
Missione significa anche “sprogrammarsi” per “sprogrammare” il mondo. La missione vuol far sentire “cittadini del mondo” anche coloro che vivono distaccati dalle logiche della globalizzazione. Qualche volta però c’è la presunzione di “fare volontariato”, come se in Africa mancasse proprio il pinco pallino di turno capace di risolvere i problemi e ristabilire la giustizia. Da qualche parte ho letto che sei pronto ad andare davvero in missione, solo se sei disposto a lasciare a casa la macchina fotografica. Ma qui è Veronica a bloccarmi:
«Non parto con l’idea di poter cambiare la realtà, ma semplicemente di viverla per quello che è, e perché no, magari poter contribuire nel mio piccolo ». Nessuno di noi da solo salverà il mondo, ma può lasciarlo un po’ migliore di come l’ha trovato, citando il padre dello scoutismo Robert Baden-Powell.
Attese e fantasie si accavallano e la voglia di “partire” è sempre più forte. C’è il desiderio di coltivare un’emozione, spesso c’è la ricerca di un mondo diverso, più genuino, meno complesso e, soprattutto libero da sovrastrutture, «dove le persone sorridono non per gentilezza, ma perché lo vogliono davvero» come mi dice Giovanni. Ma tutto questo porta con sé qualche timore.
Benedetta: « Le paure, come in ogni cosa nuova, ci sono. Ma forse per l’entusiasmo le sento ancora poco. Forse l’unica paura vera, per ora, è quella di voler portarmi a casa l’Africa stessa invece di ricordi. Ma vedremo cosa succede.»
Daniele: «Ho un po’ paura che il tempo che dovremo trascorrere in Africa (venti giorni) sia tanto. Anche se chi è già stato in missione mi dice che in realtà è davvero poco. E nonostante i vaccini, sì, ho paura delle malattie.»
Giovanni: «Bella domanda. Diciamo che parto per il desiderio di scoprire, e a prescindere da ciò che accadrà non ho paure, sono mosso dalla curiosità».
Veronica: «La mia paura più grande è quella di non riuscire ad adattarmi alla loro cultura, al loro stile di vita. Proprio per cercare di prepararci anche psicologicamente, abbiamo avuto l’opportunità di seguire degli incontri di formazione da parte della diocesi che ci ha permesso un confronto e ci ha permesso di ascoltare molte testimonianze»

Di domande per loro e per gli altri giovani che partiranno (dal 5 al 25 agosto) ne avrei tantissime. Ma saranno i sorrisi che incontreranno, le strette di mano, le fronti corrugate nell’ascolto, le emozioni, i saluti, le fatiche a dare tutte le risposte.