Lo spirito del Ramadhan: il digiuno è un modo per mettersi nei panni degli ultimi

Da sabato scorso, per i fedeli musulmani è iniziato il mese sacro di Ramadhan. Il Ramadhan è uno dei cinque pilastri dell’Islam, prevede l’astensione dall’alba al tramonto di tutto quello che è terreno: non solo bere e mangiare, come si pensa erroneamente, ma anche fumare, avere rapporti intimi, evitare litigi, mantenere un comportamento corretto, fare la zakat, ossia l’elemosina. Mette l’uomo nelle condizioni di privazione terrena, atta ad elevarsi puro (o almeno il più possibile) verso Allah, attraverso le preghiere, per fare capire come umilmente dovrebbe essere l’essere umano al cospetto del Creatore.
Per due anni ho trascorso questo periodo in un Paese musulmano, in Tunisia. Il mio primo anno in Tunisia, il 2014, ho digiunato anche io, vivendo in casa con la famiglia di mio marito, musulmano, per rispetto nei loro confronti e per voler provare cosa significasse privarsi di acqua e cibo per tutto il giorno, e non per solo una giornata, come fatto in passato. Ero entusiasta all’idea di poter vivere questo mese sacro in un Paese musulmano, animata dalla curiosità e dalla voglia di poter immergermi nell’atmosfera ramadanesca vera e propria, cosa non possibile in Italia, dove mancava uno dei tasselli fondamentali: la gioia di condividere questi momenti con la famiglia di mio marito. Il primo giorno è stato difficile, il caldo e i morsi della fame non aiutavano, ma poi man mano tutto è diventato più semplice e anche il corpo si è abituato ai nuovi ritmi, a dover utilizzare al meglio le energie. Pensandoci, a volte mi è capitato di non mangiare o bere quando ho lavorato ad articoli in cui dovevo seguire lunghe manifestazioni, ma ero talmente concentrata che non me ne rendevo conto. E così è stato anche con il digiuno…. certo, la mia “condizione” era privilegiata: non lavorando, potevo riposare fino a tardi al mattino e poi aiutare mia suocera ai fornelli, per la preparazione dei piatti che solitamente si mangiano in Tunisia. Nei Paesi musulmani i ritmi rallentano durante il mese di Ramadhan: si lavora meno ore, le attività commerciali cambiano orari di apertura: al mattino sono chiusi, aprono verso sera, chiudendo ben oltre mezzanotte. La Sunnah vuole che per tradizione il momento dell’iftar, ossia della rottura del digiuno, inizi bevendo un bicchiere d’acqua e mangiando qualche dattero. Sulla nostra tavola non poteva mancare la chorba, ossia una minestra con grano e carne (ma che può essere preparata con diverse varianti, qui vi avevamo illustrato la ricetta: http://www.santalessandro.org/2014/07/cucina-ramadan/), i brik (prossimamente nella nostra rubrica di cucina, vi sveleremo come prepararli), un’insalata e un altro piatto a scelta. Il digiuno pone le persone sullo stesso piano di quei poveri che non hanno di che cibarsi per tutta la giornata. Ricorda quanto si è fortunati, al momento dell’iftar, nel poter sedersi attorno ad una tavola apparecchiata, insieme alla propria famiglia, senza darlo per scontato. Insegna anche a controllarsi, a non arrabbiarsi per ogni minima cosa: basta vedere i social network per rendersi conto di come sembra che tutti siano in preda a un’isteria collettiva e che non sia poi così semplice avere una parola di gentilezza nei confronti del prossimo. Sono stata contenta di aver potuto condividere questo mese importante con la mia famiglia acquisita: i pomeriggi passati ad aiutare mia suocera nella preparazione dei piatti, alternando cibi tunisini a quelli italiani, ascoltare la recitazione del Corano, aspettare con impazienza il richiamo del muezzin al maghreb per poter gustarsi il primo bicchiere d’acqua della giornata, mangiare tutti assieme, il capire l’importanza delle piccole cose, lo stare svegli fino alle 3 passate, rifocillandosi al sohor con dolci, yogurt e litri d’acqua per immagazzinare il necessario per la giornata successiva, le sere passate in centro a Tunisi che di sera si rianimava, la gioia condivisa di Eid – al Fitr, la festa di fine Ramadhan.
L’anno successivo purtroppo lavorando, quest’atmosfera non sono riuscita a viverla pienamente. Quest’anno lo stiamo trascorrendo in Italia: Ramadhan in un Paese non musulmano è più difficile, non solo perché i ritmi non rallentano, ma anche per la lontananza dalla famiglia, per quell’atmosfera magica che manca, ma nel mio piccolo sto cercando di rendere tutto familiare. Quest’anno non digiuno, avendo una bimba piccola le mie energie vanno tutte per lei. Su internet mi confronto con altre donne sposate a musulmani per capire come variare il menù della sera, ci si lamenta ogni tanto dei mariti che nonostante la tavola apparecchiata con ogni ben di Dio, dopo ore passate ai fornelli, si limitano a mangiare uno o due piatti – lo stomaco non è più abituato -, si cerca di passare più tempo con i familiari ed amici, andandoli a trovare più spesso per condividere l’iftar.
Non mancano poi, sul nostro territorio, iniziative di iftar condiviso: come quello organizzato dall’associazione Toubkal, da Il bosco associazione culturale malpensata e dalla Cooperativa Ruah per il 2 giugno dalle 20 al Patronato San Vincenzo. Un modo per condividere insieme ai propri vicini musulmani un momento per loro importante.