L’età schizofrenica dell’eterno presente: siamo candidati all’immortalità o alla morte su domanda

“Se, grazie a un controllo sanitario ininterrotto, sperano di diventare immortali, è perché non hanno niente a cui dare la propria vita”.
Come al solito Fabrice Hadjadj non la manda a dire a nessuno e va subito al sodo, anche in un libro, la sua ultima fatica, che ha il coraggio – e magari un filino di presunzione – di titolarsi “Risurrezione. Istruzioni per l’uso” (Edizioni Ares, 167 pagine). Ora non è che il conosciuto saggista e polemista di Nanterre voglia fare un breviario di come tentare di tornare in vita, del tipo crioconservazione fino a scoperta dell’elisir di immortalità, anche se in questo caso non si tratterebbe di una vera resurrezione. Anzi, al contrario, Hadjadj tenta di mettere un freno a due pericolose tendenze dei nostri giorni, opposte e complementari: il tentativo di vivere per sempre –o di ritornare in vita, come abbiamo visto- e quello di morire su domanda. Ed infatti aggiunge che questi candidati all’immortalità in realtà “vivranno meno a lungo di molti mortali: abbastanza presto avranno voglia di darsi agli ultimi progressi dell’eutanasia”.
Non è umorismo nero, ma anzi, esattamente un esempio di quello che dovrebbe essere il vero umorismo per uno che se ne intendeva, Luigi Pirandello: la riflessione amara sul comico, che era per il grande siciliano “l’avvertimento del contrario”, vale a dire l’accorgersi che sta accadendo esattamente il contrario di quello che si dovrebbe fare o che dovrebbe essere. Un invito a porsi qualche domanda.
Il mito della tecnologia per la tecnologia, fa notare l’autore, sta portando a qualche spiacevole effetto non tanto collaterale: cliniche per la morte e non per la vita (qui Pirandello avrebbe sicuramento scritto una commedia delle sue), inquinamento, surriscaldamento del clima planetario (in questi giorni di grande attualità per la posizione del presidente degli Usa che non è per niente convinto che esso sia causato anche dall’uomo), costruzione e smercio di armi micidiali. Insomma quella tecnica che dovrebbe servire al miglioramento della vita sta minandone le basi. Ma la risurrezione di Hadjadj non è solo questo. È riflessione su alcune pagine dei Vangeli in cui emerge con più evidenza la sofferenza, il patimento, la partecipazione, le umane caratteristiche insomma, che millenni di distrazione e superficialità hanno allontanato dalla nostra intelligenza e dal nostro cuore. Quando Tommaso non vuole credere senza ver visto ha la sua parte di ragione, perché sa quello che vuol dire crocifissione e dolore e agonia. E però non ha completamente ragione. Risorgere vuol dire riconoscere anche i propri limiti, e cambiare.
Ci lamentiamo delle seccature di una visita inattesa o di doverci dedicare a qualcuno o del fatto che piova, il che è un bene, in taluni momenti per i contadini e per chi non ha quasi nulla da mangiare, “mentre per noi, turisti, la pioggia è solo cattivo tempo, e le nostre ore, ridotte a orari, si calcolano col cronometro della Formula 1”.
Questo “Risurrezione” si pone sulla linea di quanti, a iniziare da Chesterton e da Lewis, affrontavano i loro tempi non dando accettate alla cieca, ma mettendo in risalto le contraddizioni di quei tempi, così, con un linguaggio apparentemente disimpegnato, scherzoso, ai limiti dello slang, a mostrare che nella fede c’è molta più vita, e spirito, di quanto non si creda.