Una scena disgustosa in canonica. A proposito di Messe, di offerte e di tariffe

Mi trovano in una canonica e ho assistito a questa scena. Una signora si presenta e protesta per una mancata celebrazione di messa. Esige perentoriamente la restituzione dell’offerta. Tutto comprensibile. All’infuori della spocchia del parlare e della supponenza nell’affrontare la povera segretaria che ha dovuto subire la gragnola. Avevo la sensazione di trovarmi di fronte alla cliente che protesta con il commerciante che non ha fatto bene il suo mestiere. Tu cosa pensi di questa Chiesa delle prestazioni liturgiche? Se è vero che è questa la Chiesa che sta morendo, mi pare che non si debbano fare delle particolari lamentazioni funebri.  Luigi

La questione relativa alla celebrazione delle sante Messe per i defunti, caro Luigi, è particolarmente difficile da comprendere, sia da parte dei fedeli, che, ahimè, dei pastori. L’offerta data per questa celebrazione può, infatti, dar adito ad una “compra-vendita” per nulla evangelica, che stravolge il significato di questo gesto molto bello: “Quella messa è mia, perché l’ho fatta celebrare io”. E se, come è successo nell’episodio sopra descritto, succedono piccoli equivoci organizzativi, non mancano lamentele solenni da parte dell’offerente!

Niente tariffe per la Messa

Celebrare l’Eucarestia per un proprio defunto non equivale ad appropriarsi della stessa, né pretendere che i benefici di questo sacramento siano esclusivamente per la propria intenzione, “pagata” con il proprio denaro. La messa, infatti, non si paga, perché Cristo ha già “pagato” per tutti. L’eventuale offerta che una persona può liberamente dare è solo perché in quella Messa si preghi per la relativa intenzione.

Il beneficio spirituale di questa celebrazione, tuttavia, non dipende né dall’offerta, abbondante o meno, e nemmeno dal nome del defunto o dell’intenzione citate nell’Eucarestia, ma dall’intenzione di colui che la richiede. Tutto questo libera il cuore da assurde pretese verso il celebrante. Il valore di suffragio, infatti, rimane anche nel caso si verifichino errori! Quanta ignoranza dilaga in questo ambito! Quante volte capita di assistere a spiacevoli episodi come quello descritto: fedeli agguerriti, solo perché il nome del defunto non è stato esplicitato dal sacerdote!

Viene spontaneo domandarsi se questi stessi cristiani, siano consapevoli del valore universale dell’Eucarestia! Quanti errori! Quanta confusione! Nessuna celebrazione liturgica sottostà alle leggi del mercato! Tutti dobbiamo ricordarcelo! E se i fedeli vogliono dare un’offerta, quale segno della propria partecipazione personale al sacrificio di Cristo, sovvenendo così alle necessità della Chiesa stessa, lo possono fare liberamente, solo liberamente! A nessun sacerdote è lecito fissare tariffe sulle celebrazioni liturgiche.

Papa Francesco ne ha parlato

Durante un’omelia a santa Marta, papa Francesco, commentando l’episodio evangelico della cacciata dei venditori dal tempio da parte di Gesù, affermava:

Quante volte vediamo che entrando in una chiesa, ancora oggi, c’è lì la lista dei prezzi: battesimo, tanto; benedizione, tanto; intenzioni di messa, tanto… Le Chiese non diventino mai case di affari, la redenzione di Gesù è sempre gratuita.

Siamo tutti invitati, perciò, a riscoprire il valore delle celebrazioni liturgiche come eventi che riattualizzano, “qui e ora”, la salvezza di Cristo per ciascuno di noi e per l’umanità intera, e non luoghi di commercio e di prestazioni, che favoriscono alcuni e penalizzano altri.

A qualsiasi condizione sociale od economica, infatti, ogni fedele deve trovare accesso al chiesa e alle sue celebrazioni!

Che non accada che a coloro che sono nelle ristrettezze sia impedito od ostacolato il far celebrare un’Eucarestia per i propri cari defunti o per qualche intenzione particolare! L’invito è allora rivolto anche ai sacerdoti, perché non “diventino” affaristi e non facciano della casa di Dio un luogo di commercio, secondo regole mondane, così come dice papa Francesco: «Se io vedo che nella mia parrocchia si fa questo, devo avere il coraggio di dirlo in faccia al parroco» (cfr ib.).